“La mia mamma piange sempre e quando gli chiedo perché lei dice che gli bruciano gli occhi. Ma io lo sò perché lei piange gli manca il mio papà e mio fratello che anche lui per guadagnare i soldi lavorava per le persone cattive anche lui è stato arrestato”. “Non ho padre mi è morto 2 anni fa. Mio fratello non puo camminare perché lo hanno fatto nascere prima”. “Le scrivo perché chiedo il suo aiuto, la prego di pregare per la mia mamma perché ha perso il lavoro e di recente ha avuto un incidente dove si è fatta male. Piange sempre e prega a Dio perché vuole morire, perché dice che non può comprarci da mangiare e non sa cosa fare perché lei non ha nessuno che l’aiuta. Mio papà non abbita con noi da tanti anni”.
Sono alcune delle lettere di bambini contenute nel libro Letterine a papa Francesco, a cura di Alessandra Buzzetti. Nel capitolo “Perché i bambini soffrono?” i piccoli chiedono aiuto a Francesco per i loro piccoli e spesso grandi dolori. C’è anche chi non chiede niente, come una bambina di 10 anni malata di diabete, perché “in ospedale ho notato tanti bambini che stavano peggio di me”.
Il dramma del dolore innocente si ripete da sempre nella storia. E’ inspiegabile, spesso nascosto, ma sempre lacerante e fa bestemmiare il nome di Dio. In questi tempi drammatici sembra non dare tregua ai bimbi che scappano dalla guerra con le famiglie e muoiono annegati alle porte dell’Europa. E anche in questa Settimana santa si è mostrato in tutta la sua tragicità con la morte delle studentesse in Spagna e con le stragi di Bruxelles, che rinnovano l’urlo di un’umanità sempre più attonita.
Davanti a questi fatti ci si chiede: Dio, perché permetti tutto questo? Se lo chiedeva anche Dostojevski ne I fratelli Karamazov davanti al dramma del bambino dilaniato dai cani: “Ma ci sono i bambini: che cosa dovrò fare con loro? È questa la domanda alla quale non so dare risposta (…) Ascolta: se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l’armonia eterna, che c’entrano qui i bambini? Rispondimi, per favore. È del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro e perché tocca pure a loro comprare l’armonia con le sofferenze”.
A spiegare il dolore, a dire che non ha senso, in particolare quello dei bambini, ci hanno provato in tanti: filosofi, intellettuali, editorialisti, santoni. E si sono divisi tra quelli che suggeriscono di dimenticare e di godersi la vita (fino a che non tocca a noi); chi si illude che si possa evitare la sofferenza annullando il desiderio; e chi cerca di riabilitare Dio come fonte di consolazione nell’aldilà.
Neanche i papi sanno rispondere a questa domanda: “Se potessi fare un miracolo guarirei i bambini. Io non sono riuscito a capire perché i bambini soffrono. E’ un mistero. Non so dare una spiegazione”, ha detto papa Francesco durante la stesura del suo recente libro L’amore prima del mondo.
C’è un giorno all’anno, oggi, in cui questo dolore a cui tutti cerchiamo di non pensare è il protagonista. Non disperato, ma al contrario che dà speranza, perché risorgendo, Cristo dice che la morte non è l’ultima parola sulla vita dell’uomo. Però ancora non dice il perché del dolore.
Ai bambini papa Francesco dice che non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come loro, innocente, “che il Dio vero che si mostra in Gesù, sta dalla vostra parte”.
Dio ha sofferto e soffre insieme a noi, invece di spiegarlo ha assunto il dolore fino in fondo. Resta un mistero che però si è fatto compagnia e carne nella storia: Gesù scoppia in singhiozzi irrefrenabili quando vede la vedova accompagnare al cimitero il figlio morto; si commuove fino alle lacrime quando vede quella folla sterminata di persone che lo cerca; suda sangue quando capisce che la Sua fine è imminente. Come ognuno dei martiri innocenti. Che Dio viva fino in fondo il nostro dolore, non vale più che se ci spiegasse il suo significato?
Il Venerdì Santo è un giorno di silenzio strano, in cui quello che di solito sembra non aver senso, ce l’ha. Non perché viene spiegato, ma per una compagnia, come quella che sotto la croce hanno fatto a Cristo sua madre e l’amico più amato. Una compagnia silenziosa, che non lascia soli. E che ti dà la forza di accettare la sofferenza perché possa essere, in qualche modo, misteriosamente utile al bene del mondo.
La compagnia profonda che si sperimenta nel dolore è spesso quella che spinge ad aiutare gli altri. Quella compagnia che ti fa intuire che la vita non può essere ricondotta a quel dolore. Questo è ciò che fece don Gnocchi quando tornato dalla Russia e visitando un ospedale vide un bambino mutilato e gli chiese perché soffriva. Il bimbo rispose: boh! E lui iniziò la sua immensa opera di carità, per educare i “mutilatini” a percepire quella Compagnia profonda al loro dolore.
L’infinito dolore segreto del mondo, dei bambini, degli sconosciuti, di quelli a cui nessuno asciuga le lacrime, che sembra non lasciare traccia nella storia del mondo, il dolore di quello che “pareva nisun”, come il barbone della famosa canzone di Enzo Jannacci, morto proprio nel venerdì santo di tre anni fa, diventa segno di vita nuova. Se guardiamo a quella Compagnia profonda.