E dunque tutto questo era necessario. Era necessario che nascesse, che vivesse in mezzo a noi, che da noi fosse umiliato e condannato. Era necessario che morisse e che donasse il suo stesso corpo. Ma perché? Perché Cristo ha dovuto affrontare tutto ciò? Che cosa c’entra tutto questo strazio con lo sguardo di due adolescenti che si amano, con il pancione di una madre in attesa, con quei tramonti che sembrano interminabili ed eterni da quanto sono belli e fanno commuovere? Che cosa c’entra il dolore con il mio bisogno di essere felice? Perché i figli devono restituire i genitori, i genitori devono perdere i figli o le mogli devono allontanarsi dai mariti? Perché le cose non durano? Che senso ha vivere? Come si fa? La verità, quella verità per cui si muore a Bruxelles o si vive in politica da corrotti cercando di arraffare quanto più possibile, quella verità per cui vediamo ogni giorno ondate di migranti sulle nostre coste o ai nostri confini, è molto semplice: dentro di noi c’è un grido che solo se viene fuori, solo se il cuore lo esprime in tutta la sua imponenza, può davvero essere abbracciato, amato e voluto.
Il dolore spezza il conformismo, rende vere le lacrime e umana la nostra ricerca, il dolore ci mette in ginocchio e ci apre la possibilità che il misterioso desiderio che ci abita emerga, esploda e — infine — possa essere ascoltato. Non c’è risposta senza domanda. E il Sabato Santo è la festa della domanda. Talmente forte è stato il grido di Cristo che tutto s’è taciuto, tutto s’è zittito, come in attesa di un cenno, di un sibilo. Cristo è morto. L’uomo ha finalmente gridato. Non ne furono capaci i Sumeri, nè i Cinesi, gli Aborigeni o i Greci: Lui ne è stato capace.
E adesso tutto aspetta, tutto freme, tutto teme. Negli inferi, in quelle caverne dell’umano dove oggi un’intera generazione ci aspetta per tornare a costruire la Vita, Egli incontra l’umanità e incontra il Padre. È il Sabato della storia, quello in cui si decide tutto. Ci siamo arrivati distratti, magari pieni d’odio, di peccato o di sottile violenza. Ma ci siamo arrivati. E adesso anche il nostro cuore vuole vedere che succede, che ne sarà di quel grido che riecheggia nello strazio degli ultimi della terra, dei malati nelle corsie degli ospedali, di coloro che semplicemente cercano giustizia.
Che dirà Dio? Che farà? Come si comporterà dinnanzi a tutta questa marea di vuoto, di paura e di mendicanza che si alza dalla terra? È questa la domanda del Sabato Santo. Ed è inutile cercare una risposta facile, commestibile. Bisogna accettare di stare, di rimanere, di non staccare gli occhi dalla pietra di quel sepolcro.
Anche se fossimo soli, anche se fossimo sbagliati, anche se fossimo diversi. Perfino se ci capitasse di addormentarci. Non si può cedere proprio ora. È da una vita che siamo in attesa, è da una vita che vogliamo vedere questo momento. Il cuore stremato, gli occhi pieni di lacrime, la mente distratta e dispersa. E quel sepolcro. Lì, muto, silenzioso. Si fa notte e non accade nulla. Svanisce la speranza, cresce la rabbia, la delusione. Eppure non possiamo smettere di guardare. Perché è di quella pietra che abbiamo bisogno. E adesso, in questa notte che avanza, tutto può accadere. Tutto è possibile. Riusciremo a non perderci nei nostri miti e nelle nostre utopie? Riusciremo a vegliare fino all’alba? Su questa sfida, su questo pertugio della nostra libertà, si gioca tutto. Il nostro destino, la nostra gioia, il destino del mondo intero. E la partita, adesso, è più aperta che mai.