E’ nell’aria e lo si respira da tempo: le prossime elezioni amministrative saranno un momento significativo per capire quale ruolo rivestirà Milano nel suo futuro immediato. Come è noto il capoluogo lombardo è sempre stato un laboratorio di percorsi sociali, economici, culturali e anche politici di grandissimo impatto, ma quali carte ha da giocare per far fronte alle sfide del futuro prossimo?
Il Pil più alto d’Italia e il tasso di disoccupazione più basso, inferiore anche a quello medio europeo a 28 Paesi, dimostrano che la crisi economica qui è aggredita con più forza. Nessuno sa spiegare fino in fondo cosa ha sostituito la grande impresa industriale milanese degli anni Settanta: finanza, design, moda, arte, servizi di alto livello, ricerca biomedica, assicurazioni, piccole e medie imprese di alta qualità? Di tutto un po’, secondo linee di cambiamento “dal basso” ancora da interpretare, ma sicuramente da far risalire ad un elemento trasversale e non, in modo classico, alla forza dei diversi settori. Possiamo chiamare questo elemento: primato del singolo uomo e della sua capacità di costruire.
E’ questo l’elemento su cui è importante continuare a puntare, con tutte quelle forme che possono contribuire a farlo crescere. Principalmente l’investimento in educazione e capitale umano e il welfare.
A Milano non si è solo sostituito in modo naturale il tessuto produttivo, ma si è aggiunto qualcosa in più: una città universitaria di carattere nazionale e, con alcuni atenei di punta, anche sempre più internazionale. I giovani vengono a studiare qui perché sono convinti che troveranno lavoro grazie a un “hub della conoscenza” che fornisce alle imprese un asset competitivo e una forza lavoro di grande qualità. Anche la scuola sia statale che paritaria ha, secondo classifiche nazionali (Invalsi) e internazionali, una qualità superiore alla media italiana e a quella dei Paesi Ocse. Tutto questo anche grazie a un sistema misto pubblico-privato che funziona, dall’università all’asilo nido.
La persona, la sua creatività, la sua educazione, è il punto cardine che ha permesso a Milano di essere capitale di un welfare sussidiario in cui le opere non profit collaborano organicamente con il pubblico. Qui infatti storicamente si sono sviluppate realtà di privato sociale non a fine di lucro che sono sentite patrimonio di tutti. Ed è una storia che non finisce: oggi si affacciano nuove realtà come quelle di accoglienza degli extracomunitari, ad esempio la Casa della Carità; di doposcuola gratuito come Portofranco; di supporto ai lavoratori precari come FeLSA Cisl; di contrasto alla povertà alimentare, come la Caritas e il Banco alimentare; di cure palliative come la Fondazione Floriani o la Maddalena Grassi. La rete di ospedali pubblici, privati e non profit, grazie anche alla libertà di scelta garantita dalle politiche della Regione, fa sì che anche il livello di cura sia di grande qualità. Tutte queste realtà permettono quella solidarietà nella sussidiarietà senza cui ci sarebbero molta più ingiustizia e minore qualità della vita e dove anche il problema dell’immigrazione sarebbe più drammatico.
Come negli anni ‘60-70 Milano integrò i meridionali italiani, oggi sta accadendo con molti extracomunitari che diventano piccoli imprenditori.
In questo contesto i milanesi hanno ritrovato la voglia di riappropriarsi di spazi culturali e di divertimento, grazie alle numerose zone riqualificate.
I problemi, certo, non mancano neanche qui: l’inquinamento, la sicurezza, il degrado di molte periferie, i vani vuoti per la speculazione edilizia e la mancanza di alloggi per i meno abbienti, il verde pubblico ancora limitato rispetto a quello di molte città europee, la carenza di impianti sportivi, la corruzione…
La posta in gioco è alta: per continuare ad essere il motore del Paese, Milano deve saper attrarre grandi capitali internazionali e diventare protagonista della nuova rivoluzione industriale, quella tecnologica, investendo più massicciamente in ricerca.
Come incrementare le molte eccellenze e affrontare i problemi aperti? Una cosa è certa: ogni tentativo che prescinda dalla straordinaria vitalità milanese e non abbia l’umiltà di ascoltare e conoscere la realtà della città, sarebbe solo il vecchio che avanza anche se travestito da nuovo.