I nuovi diritti hanno dei limiti. Non è stato uno iusnaturalista a criticare una “libertà generica senza alcun vincolo” e la distruzione causata dall’assolutizzazione dei diritti soggettivi, ma Beatriz Gimeno, leader del movimento gay e deputata di Podemos. Alcuni giorni fa, nel Parlamento della Comunità di Madrid, è stata discussa una proposta di legge sulla regolamentazione della maternità surrogata. In Spagna i contratti per l’affitto dell’utero sono considerati nulli, dato che è il parto a determinare la maternità. Dal 2010 è concessa però la possibilità di riconoscere un rapporto di filiazione dichiarato da un tribunale straniero. Di fatto si permette di affittare un utero in un altro Paese in cui è consentito.

L’assemblea di Madrid non è competente sulla materia, ma l’iniziativa legislativa rispondeva al tentativo di Ciudadanos, appoggiato dal Partido Popular, di far propria la bandiera dei nuovi diritti. La proposta è stata respinta, ma ha generato un dibattito interessante. Dalla sinistra femminista e gay sono arrivate critiche molto suggestive.

Per Beatriz Gimeno, l’affitto dell’utero significa commercio della gravidanza e del parto, commercio di bambini e apertura di un mercato mondiale che sfrutterà le donne più povere. “Tutti hanno il diritto di formare una famiglia, ma nessun desiderio di avere figli può trasformarsi nel diritto di calpestare i diritti di un’altra persona”, ha sostenuto l’ex Presidente della Federazione statale di lesbiche, gay, trans e bisessuali.

Né Gimeno, né il movimento gay hanno rinunciato alle loro battaglie tradizionali, ma fanno un’interessante riflessione sul profilo dei nuovi diritti, specialmente nell’ambito della riproduzione e della maternità. Le basi del dibattito sono state poste 50 anni fa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Nel caso Griswold contro Connecticut viene riconosciuto il diritto all’autonomia personale nell’ambito privato. Nel 1973 sempre la Corte Usa, nel caso Roe contro Wade, invoca il diritto all’autonomia per consentire un aborto. La trasformazione giuridica è avvenuta in un periodo in cui si combatteva una battaglia nel campo del pensiero.

Simone de Beauvoir sviluppava in quegli anni un femminismo in difesa dell’autonomia delle donne che chiedeva l’autodeterminazione, una liberazione dall’oppressione maschile. 

Questa è la stessa terminologia usata più recentemente da Lilia Rodriguez al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Il diritto di autodeterminazione si lega alla teoria di genere e si sviluppa con la richiesta di nuove forme di famiglia. E finisce per proclamare la maternità e la paternità come un diritto per le coppie che non possono concepire, né gestare biologicamente un bambino.

Le riflessioni di Gimeno sono interessanti perché, da dentro il femminismo e il movimento gay, riconoscono un limite a ciò che sembrava illimitato. Il desiderio di autonomia (in questo caso di paternità/maternità), trasformato in diritto, diventa una limitazione all’autonomia di una donna che vive da un’altra parte del pianeta. Donna che viene sfruttata e sottoposta a rapporti maschilisti di dominazione per lo sviluppo di nuovi diritti. Si parla di un maschilismo abominevole che in effetti comporta lo sfruttamento economico. Il ricco nord, desideroso di un’autodeterminazione infinita, cerca di comprare con i soldi la dignità umana del sud.

Il caso dimostra che non siamo di fronte a un gioco a somma zero. I diritti per definizione si limitano a vicenda. Ma il desiderio è irrefrenabile, senza limiti, e l’uomo del XXI secolo non è disposto ad adeguarsi. Diventa persino violento per garantirsi l’oggetto che ritiene gli darà soddisfazione. L’equazione è irrisolvibile. A meno che diritto e desiderio non siano sinonimi. E a meno che il desiderio di autonomia, di pienezza, di felicità che batte nei nuovi diritti trovi una strada consona all’origine da cui nasce. Ogni desiderio, per quanto contraddittorio possa sembrare, ha le sue origini in un palpito incontenibile.