Le elezioni di giugno in Spagna possono portare a un Parlamento come quello che c’era a Natale: sei mesi dopo si tornerebbe al punto di partenza. Questa è la principale conclusione del barometro del Cis (Centro di ricerche sociologiche, ndt) pubblicato la scorsa settimana. Il Partito popular vincerebbe con il 27,4%, ma non avrebbe una maggioranza sufficiente a governare. Rispetto a Natale i popolari prenderebbero l’1,3% in meno. Il Psoe scenderebbe rispetto alle precedenti elezioni (21%), mentre Ciudadanos crescerebbe di quasi due punti (15,6%). Sembra che gli elettori vogliano premiare la sua volontà di cercare un accordo.
Il sondaggio non riporta il possibile effetto di un’alleanza tra Podemos e Izquierda unida. Podemos è il partito che perde di più, tre punti, “castigato” dalla sua arroganza e dal suo modo di fare. La coalizione Podemos-Izquierda Unida potrebbe arrivare al 24%, diventando la seconda forza parlamentare. Non ci sono quindi cambiamenti nelle intenzioni di voto. Le novità possono arrivare dal fatto che la coalizione Podemos-Izquierda Unida potrebbe far cambiare il numero dei seggi attribuiti.
Rajoy spera, senza muoversi molto, di recuperare tra il milione di astenuti, di sommare i suoi voti con Ciudadanos e che il Psoe non raggiunga un accordo con la sinistra radicale di Podemos-Izquierda Unida, che sarebbe disastroso per il Paese. Non sarebbe però nemmeno sufficiente un eventuale accordo tra le tre forze leali alla Costituzione (Pp, Ciudadanos e Psoe), perché non corrisponderebbe alle richieste della società spagnola. Secondo il Cis, infatti, nessun leader politico viene promosso e l’82% degli spagnoli vede male o molto male la situazione politica. Tre spagnoli su quattro sono convinti che i politici non li ascoltino.
Il vero problema non è quindi aritmetico. Il cambiamento si avrebbe se tutti superassero le loro “linee rosse”. Dopo decenni di democrazia si sono creati profondi fossati dietro cui si sono costruiti grandi castelli ideologici. In molti casi si tratta di slogan senza consistenza che servono ad avere fedeli seguaci e a tenere le distanze dagli altri. La politica spagnola ha bisogno di qualcosa di più che barriere costruite con parole altisonanti: libertà di mercato, solidarietà, redistribuzione, disciplina, eccellenza, ecc. Tatticismo e massimalismo abbondano da tutte le parti, mentre manca la sincerità. Tutto viene giustificato affinché vincano i nostri, affinché non governi “l’altra Spagna” che viene descritta come la peggiore delle piaghe.
Le premesse per il cambiamento sono la sincerità e la valorizzazione dell’altro, che è l’unico motore per trovare proposte nuove che, per quanto possibile, facciano trovare dei punti comuni. Punti comuni che potrebbero anche non essere trovati, ma almeno è sempre possibile arrivare a un compromesso che non alimenti il desiderio di cambiare tutto in caso di sconfitta degli avversari. Facciamo un esempio riguardante uno dei temi più caldi: l’impossibile patto educativo.
C’è un settore molto importante della società spagnola che considera la libertà di scelta dei genitori come un principio non negoziabile. Il sistema imperfetto della parità viene considerato una garanzia affinché lo Stato non sia il referente ultimo dell’educazione. Si tratta di un diritto che si rifà a un principio costituzionale. C’è però un’altra parte della società che difende a spada tratta le scuole statali come unico soggetto che deve essere considerato pubblico, e quindi legittimato a ricevere finanziamenti dallo Stato, in questo settore. Il dibattito degli ultimi 30 anni sulle ragioni dell’una e dell’altra parte non è stato seguito. Ma con un sistema educativo sempre più duale e con i risultati molto scarsi bisognerà cominciare a cambiare il discorso. Forse non è il momento di alzare la bandiera delle scuole paritarie senza proposte nuove che dissolvano i sospetti di privatizzazione o di mancanza di considerazione delle necessità sociali. Come non è nemmeno tempo di nascondersi dietro discorsi di uno statalismo fuori moda, sostenuto da pregiudizi ideologici.
Non possiamo smettere di cercare di capire quali paure e che sensibilità spingano l’altro a chiedere più Stato. Non siamo in grado di trovare una soluzione nuova, una zona di compromesso? Questa circostanza riguarda indubbiamente la vocazione della presenza cattolica. La cosa più urgente per la vita sociale e politica spagnola – più che il contenuto di alcune libertà sacrosante – è rifare il quadro di queste libertà: il punto di incontro fuori da fossati in cui si accumula già troppo fango. L’accusa fastidiosa e ingiusta mossa ai cattolici spagnoli di voler ricostruire l’alleanza trono-altare o di voler imporre la loro visione non sparirà smettendo di dialogare. Non si tratta di ripetere fino alla nausea i principi su cui si basa la libertà educativa e religiosa, ma di esercitarle con una creatività e immaginazione che facciano cadere le barriere. Né i trattati internazionali, né le leggi sono eterne, in particolare quando le società cambiano molto.
Un dialogo sincero sulle grandi sfide quali la creazione di posti di lavoro, la riforma dell’istruzione, la sostenibilità del welfare, il modello territoriale, il finanziamento delle Comunità autonome e così via aiuterebbe ad avvicinare le posizioni. Con la concretezza si possono dissipare i fantasmi. Il Pp non può continuare con il suo trionfalismo sulle politiche economiche, dato che c’è moltissimo da cambiare con circa 5 milioni di disoccupati. I popolari sanno che il sistema fiscale non ha ancora visto la riforma che era necessaria. I socialisti sanno che una controriforma del lavoro sarebbe un suicidio e che la sostenibilità del welfare richiede riforme drastiche. Podemos sa che le sue proposte di spesa sono irrealizzabili, che non può limitare la libertà di stampa, che la Spagna non è il Venezuela. Il Pp sa che la riforma dell’istruzione che ha approvato non è buona e che non ha consensi, il Psoe sa che il suo statalismo è insostenibile.
Non è un problema di aritmetica, è un problema di sincerità. La sfida è che la valorizzazione dell’altro sia un criterio politico.