Ci sono scelte tossiche che avvelenano popoli e persone. False dicotomie che in certi momenti sembrano imporsi come le uniche alternative. In Occidente, su entrambe le coste dell’Atlantico, in politica sembra emergere una scelta tra due mali: il populismo o la tecnocrazia. Il populismo avanza ad ampi passi in paesi come Francia, Spagna o Regno Unito, dove la polarizzazione classica tra destra e sinistra non riesce a fare i conti con la nuova situazione. 

La vecchia sinistra socialista ha cercato di abbattere nei giorni scorsi la ragionevole e necessaria riforma del lavoro di Hollande. Non pochi settori sociali della Francia, che rifiutano di riconoscere la sfida della globalizzazione, si sono schierati contro il cambiamento nella legislazione. Manca meno di un anno alle elezioni e, salvo grandi mutamenti, Marine Le Pen si giocherà al secondo turno la Presidenza della Repubblica con un candidato socialista o di centrodestra. Sinistra e destra dovranno unirsi per fermare il radicalismo. Non è così difficile vedere che senza riforme dolorose ma necessarie, come ad esempio il diritto del lavoro, non è possibile aumentare la produttività, creare posti di lavoro e, quindi, frenare il malessere che alimenta il consenso verso Le Pen.

Qualcosa di simile accade nel Regno Unito. Il mondo intero ha dovuto venire in soccorso di Cameron dopo la sua disgraziata idea di indire il referendum sulla brexit. Dopo Obama, è stato il Fondo monetario internazionale a dover mettere in guardia sulle conseguenze disastrose per l’economia mondiale del possibile addio del Regno Unito all’Unione europea. Cameron ha promesso un referendum sotto la pressione populista dell’Ukip e di buona parte del suo partito. Gran parte dei conservatori britannici ha a lungo flirtato con l’anti-europeismo. È mancata chiarezza e decisione per disegnare una strategia nazionale congiunta, mentre è cresciuto il sogno di una Gran Bretagna libera e svincolata dagli zoticoni continentali.

In Spagna cresce Podemos, in Francia la xenofobia del Front National e nel Regno Unito l’utopia anti-europea perché le aspettative sono smisurate. Si sta disfacendo la memoria che ci ha reso realisti grazie alla saggezza accumulata sulla base degli errori che sono stati commessi dalla Rivoluzione francese fino al Secondo dopoguerra. Per questo la politica torna a sembrare uno strumento capace quasi di tutto e la relazione con lo Stato torna a essere religiosa. In questa prospettiva, la democrazia è una fonte di frustrazione. Né i cittadini, né i partiti, afflitti dall’ansia della globalizzazione, accettano le limitazioni imparate in altri tempi. Il linguaggio torna a essere necessariamente figurativo o menzognero.

Di fronte a questa nuova ricerca del paradiso, appare l’alternativa “con i piedi per terra”. È il discorso che fa il Pp in Spagna: bisogna mettere ordine. Le questioni  pubbliche sono così serie che occorre introdurre molta materia grigia, molti esperti in grado di guidare, in un mondo complesso, “l’istintività politica”. Ci vogliono tecnici che risolvano i problemi, come avviene in un’azienda privata.

L’errore di sostenere la “soluzione tecnocratica” sta alla radice: la politica è politica non solo perché è gestione, ma è anche perché è il luogo di un progetto condiviso, della libertà che faticosamente trova il cammino o il compromesso per esprimersi. È anche il luogo della costruzione, dell’incontro e dello scontro tra esperienze differenti. La politica è essenzialmente la regione del desiderio. Il desiderio non è solo il desiderio sessuale o un interesse che, teoricamente, mediante una mano invisibile, distribuisce benefici. Il desiderio è anche desiderio di socializzazione – immagine ideale, piena di affetto – teso alla costruzione di un mondo più vivibile. La tecnocrazia ha paura di questo desiderio, tende a castrarlo, perché lo considera una fonte pericolosa di utopie. I tecnocrati sono come i vecchi moralisti che, per cercare di evitare il peccato, predicavano un genocidio dell’umanità.

Il populismo e la tecnocrazia implicano un attentato all’essenza della democrazia. Non c’è democrazia senza il coraggio di ammettere l’imperfezione di soluzioni che devono necessariamente essere parziali, specie in un mondo in transizione come il nostro. Non c’è democrazia senza la valorizzazione del desiderio che ci porta tutti a costruire, con pazienza, in modo responsabile, e con il gusto di incontrare l’altro.