La finale di Coppa del Re giocata domenica a Madrid, con il calcio come pretesto per sventolare le bandiere indipendentiste catalane, potrebbe essere considerata un buon simbolo del trionfo dell’ideologia della disconnessione. Non solo territoriale, ma un vero distacco dall’altro, l’affermazione di un’identità conflittuale che nega l’esperienza di un rapporto più determinante e più concreto di ogni differenza. L’ideologia della disconnessione, in un momento di diminuzione del secessionismo nell’opinione pubblica catalana, si nutre del vittimismo e dell’emotività irrazionale propria del calcio. L’indipendenza impossibile per ragioni economiche e giuridiche diventa realtà virtuale nel campo di sentimenti collettivi. Il governo di Rajoy è stato, d’altra parte, poco abile nel divieto di utilizzare le bandiere indipendentiste, bocciato dai giudici per via di un’interpretazione forzata della legge. Speriamo che non abbia volutamente ricercato il conflitto per ragioni elettorali.

Ma l’ideologia della disconnessione non è tipica solamente del secessionismo catalano o basco. Riguarda sia la destra che la sinistra. E si rende più evidente nella campagna elettorale che a breve porterà gli spagnoli al voto per la seconda volta in pochi mesi. Il Pp alimenta la paura di un Governo di coalizione delle sinistre e Podemos ripete continuamente che occorre liberarsi dei popolari. Gli spazi al centro spariscono, la partitocrazia cerca di traslare nella società un’identità conflittuale senza gradazioni.

La democrazia, per definizione, ha lo scopo non di eliminare il conflitto, ma di risolverlo attraverso le maggioranze e alcuni riferimenti costituzionali che mettono limiti al pluralismo e creano un sistema di contrappesi istituzionali. È la formula che fa sì che le minoranze non vengano soggiogate. Ma la democrazia può essere anche un sistema “conflittuale”, perché si basa su un su un’identità ultima relazionale, su qualcosa che si ha in comune con gli altri. Il fondamento di questo qualcosa in comune non si discute (Maritain), anche se sarebbe opportuno che tutte le tradizioni che si ritrovano in una democrazia facciano valere l’esperienza che permette loro di mantenerlo in piedi. E che lo facciano in termini civili, non confessionali. Questo humus comune è ciò che permette di concepire i diritti soggettivi non solo come il confine che difende dalla libertà altrui, ma come espressione di ciò che unisce tutti.

Ma la democrazia diventa irrespirabile se è solo conflitto, se l’identità relazionale viene negata o relegata al mondo delle idee. L’altro, con le sue idee e con la possibilità che ha di prendere il potere (anche con l’ingiustizia che può commettere contro di me), non è una minaccia. È qualcuno di cui ho bisogno per capire me stesso, per costruire. Senza di lui io non sono. Questa evidenza ha prevalso in Europa dopo la Seconda guerra mondiale e ha chiuso il ciclo iniziato con le guerre napoleoniche. È fiorita in modo particolare nella Spagna della Transizione, dopo quasi due secoli di intenso conflitto. 

Si è visto che non è stata accompagnata da una criticità capace di farla trasmettere da una generazione all’altra. Questa evidenza è stata distrutta. L’incertezza generata dalla globalizzazione, la mancanza di un’autentica educazione popolare e la sovranità del consumismo hanno contribuito a questa distruzione. Il populismo e la tecnocrazia, in un contesto di banalità alimentato dalla televisione, hanno accelerato il processo. Il populismo perché ha sempre bisogno di un nemico. La tecnocrazia perché riduce la vita comune a gestione, censura le questioni di significato e di conseguenza uccide quel che c’è di più universale.

La più importante urgenza politica in questo momento non è la difesa di alcune libertà (libertà di educazione, libertà religiosa), ma della libertà-di-essere-con-l’altro. L’urgenza più importante è il superamento dell’ideologia del distacco attraverso l’esperienza del legame, l’esperienza di una democrazia collegata. Qualsiasi presa di posizione che non percepisca questa urgenza è superata.

Forse la più grande tragedia sarebbe che il disimpegno progredisse in maniera significativa in importanti settori della Chiesa, soggetto chiamato per antonomasia a testimoniare la forza del legame. Disconnessione di Francesco in nome di Benedetto XVI, disconnessione di Benedetto XVI in nome di Francesco. Sono vecchie dicotomie senza alcun fondamento nella realtà: Chiesa di pastori/Chiesa di professori; Chiesa della presenza/Chiesa della testimonianza.

Non serve più dedicarsi alla costruzione di antichi bastioni per cercare di mettersi in salvo. Nei rifugi domina sempre la noia ed essi sono, in realtà, un grave ostacolo a una vocazione che può essere compiuta solo in campo aperto.