Da californiano so bene cos’è un terremoto. Avrò avuto forse 17 anni quando una volta sentii la terra sotto i piedi diventare come le onde nel mare. Una cosa che mi ha segnato. Fino a quel momento non avevo capito quanto, per la mia esperienza della realtà, contassi sul fatto che la terra è qualcosa di solido che ti sostiene con sicurezza quando ci stai sopra. Entrò nel mio animo un profondo senso di insicurezza delle cose. Il nulla incombeva.

Tutto questo mi è tornato alla mente mercoledì mattina, alla notizia che il candidato per la nomination del Partito repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva vinto nettamente le primarie dell’Indiana, provocando il ritiro dalla campagna elettorale dei suoi due rivali rimasti, il senatore Ted Cruz e il governatore John Kasich. Un terremoto. Un modo di guardare il mondo non regge più. 

Certo, come nel caso del terremoto della mia gioventù, tutto rimane più o meno com’era; tutto meno che le certezze. La brutale fragilità dell’assetto di questo mondo si è rivelata ancora una volta. 

In che cosa consiste questo earthquake? Trump è il primo candidato che ho visto nella mia vita, o che ho incontrato nelle mie letture di storia politica degli Stati Uniti, presentarsi davanti al popolo chiedendo il suo appoggio senza appellarsi a nessun ideale, a nessuna articolazione di principi o valori. “Dammi il potere e farò tornare l’America ad essere grande”. Una grandezza definita non dai valori di libertà o giustizia, ma dal puro potere. Saremo più potenti. Sebbene questo concetto fino ad oggi potesse essere letto come sottotesto di tanti altri candidati, nessuno ha mai pensato di poter attirare consenso senza almeno un appello formale a degli ideali.

Non è che io non capisca l’attrazione che esercita questo candidato così decisamente anti-politically correct. Quando un mese fa è apparsa una scritta nel campus di una università americana che diceva “Trump 2016” e degli studenti attivisti hanno occupato gli uffici del rettore urlando che doveva trovare ed espellere il responsabile perché non potevano vivere lì sapendo che esisteva qualcuno che la pensava in quel modo, mi è venuta voglia di votare Trump. Anch’io non ce lo faccio più a vivere in un mondo dove dire le verità più semplici, come per esempio che l’essere umano o è uomo o è donna e questo lo dice la sua biologia, o che il matrimonio ha a che fare con il generare figli. Ma fino ad ora, davanti agli ideali di una mentalità utopistica violenta, si cercava di proporre un realismo radicato nella certezza del valore della persona umana, o la legalità come spazio dove tentare una convivenza reale. Adesso in America non c’è neanche la finzione di tale proposta. O la menzogna utopistica o il potere nudo.

Ma allora dove posso appoggiarmi per far fronte alle forze dominanti di oggi? In che realtà coinvolgermi politicamente per proporre e sostenere certe semplici verità umane irrinunciabili? 

Il successo di Trump nel partito di centrodestra mi lascia senza una strada politica, senza un ambito in cui far sentire una voce diversa. Questa settimana mi sono messo, perciò, a rileggere alcuni brani della Città di Dio e ho trovato questa frase, scritta da sant’Agostino mentre i Vandali stavano alle porte della città e tutte le certezze crollavano, e il nulla incombeva. “Tutti amano. La questione è: che cosa amano? Di conseguenza non ci è indicato di non amare, ma di scegliere cosa amare. Ma come scegliere, se non siamo noi scelti per primi? Dio offre se stesso a noi; non c’è bisogno di offrirci di più”. 

Torno così all’esperienza di essere scelto, di esistere per questo, e il nulla si allontana. Riconoscendo che prima sono amato, imparo di nuovo ad amare, sono protagonista. Si ricomincia da una scommessa folle e totale. Lui mi ha scelto.