Adesso che la scuola è finita, per un insegnante che si volgesse indietro a considerare l’anno trascorso e i risultati raggiunti coi suoi studenti, quale sarebbe la massima soddisfazione? Forse quella di poter dire che coloro che erano affidati alle sue cure formative ed educative si sono implicati al massimo nelle sue proposte, hanno attivato tutte le loro capacità, hanno giocato appieno intelligenza e libertà. Esattamente così si è espresso Leonard Bernstein (1918-1990), commentando il risultato delle giornate di lavoro che aveva fatto coi giovani componenti di un’orchestra del nord della Germania: “Ognuno ha dato tutto per Stravinskij”.

L’affermatissimo direttore d’orchestra e i giovani esecutori si erano preparati ad eseguire l’impegnativa Sagra della primavera di Igor Stravinskij, un’opera che aveva provocato subbuglio tra il pubblico alla sua prima esecuzione nel 1913 e che era così nuova, così ardita nei suoni e nei ritmi che per decenni si è pensato che non fosse neppure eseguibile. Bene, di fronte ad un montagna così ardua da scalare, soprattutto per dei principianti, l’impegno educativo di Berstein ottenne il risultato massimo, confermato dalla lusinghiera accoglienza riservata dal pubblico che in varie sale da concerto poté godere del frutto di quel lavoro comune.

Lavoro che noi possiamo ora vedere nella sua sostanza e nei suoi passaggi attraverso un bellissimo video che spiega, per quanto possibile, il segreto attraverso il quale Bernstein riuscì a far dare “tutto” ai suoi allievi: una lezione di metodo educativo.

Il primo ingrediente è l’empatico e radicale coinvolgimento che l’insegnante ha con l’oggetto/contenuto che deve comunicare; si capisce benissimo che l’opera del compositore russo è per il direttore americano qualcosa che gli parla personalmente, con cui dialoga da tempo, di cui indaga i segreti e dalla quale si lascia continuamente interrogare. I giovani orchestrali sono impressionati — e lo dicono — da come il loro direttore si immedesima con la musica che deve eseguire, come ne ricerca continuamente i tesori, come rifugge ogni scontatezza, e perciò si sentono trascinati a fare altrettanto.

Secondo ingrediente è il tentativo di far capire ai musicisti che eseguiranno bene il brano certamente se metteranno in campo le necessarie abilità tecniche (come si fa un glissando, un trillo al flauto, un’arcata completa in tutta la sua estensione o un crescendo che diventa fragoroso), ma che tutto questo non è sufficiente. Occorre che sentano in sé, nella propria personale esperienza di giovani quello che Stravinskij ha detto con la sua musica. 

Così, per spiegare alcuni passaggi della prima parte — intitolata “L’adorazione della terra” — Bernstein chiede ai ragazzi se non sia mai capitato loro quand’erano adolescenti, come a lui, di sdraiarsi per terra e di volersi confondere con l’erba o di aver voglia di abbracciare un albero; se si rifaranno a quella loro esperienza capiranno la misteriosa potenza terrestre/tellurica della musica stravinskjana; altrimenti saranno solo dei banali esecutori. A giudicare dai commenti, i ragazzi hanno capito molto bene.

Un ultimo aspetto di metodo. Bernstein valorizza indefessamente i tentativi — a volte davvero poco riusciti — dei ragazzi. Ricordando così che un educatore non smette mai di partire dal buono che c’è per costruire il più sontuosamente e stabilmente possibile quello che deve essere.