La Chiesa cattolica è molto prudente quando si tratta di mettere mano alla liturgia; essa ha infatti il senso chiaro che nelle parole che la comunità riunita usa per la propria preghiera (in special modo quella eucaristica) è descritto con precisione inarrivabile il Fatto che si vuol celebrare ed è espresso il contenuto più profondo della domanda che ogni fedele ha in cuore e magari non saprebbe dire altrettanto bene. Se, dunque, la Chiesa fa una variazione nella liturgia è per un motivo grave e adeguatamente ponderato (non come quei preti che con leggerezza pari alla presunzione cambiano le parole come vogliono, si inventano gesti e formule a piacimento, aumentando la confusione di noi poveri fedeli che già facciamo la nostra bella fatica a superare il senso di estraneità che, travolti da una mentalità opposta, sentiamo nei confronti di gesti e parole liturgici).
Tutta questa premessa per arrivare a commentare la recente decisione di papa Francesco (Decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti dello scorso 3 giugno) di iscrivere nel calendario liturgico la celebrazione di Maria Maddalena (22 luglio) non più come “memoria” ma come “festa”. In pratica — per usare termini che spero non sembrino irriverenti — si tratta di una promozione: pochissimi sono infatti i santi che hanno diritto a una festa: apostoli ed evangelisti, patroni di continenti o nazioni (Benedetto da Norcia e Caterina da Siena per esempio), alcuni martiri (Stefano, Lorenzo, gli Innocenti). Ora in questo ristretto novero entra la donna che ha incontrato Gesù “sulla pubblica strada”, colei che ha accompagnato fin sotto la croce il Maestro che l’aveva perdonata e, inconsolabile, è andata di buon mattino al sepolcro per onorare almeno il corpo morto dell’”amato del mio cuore”, colei che per prima lo ha visto risorto e ha da lui ricevuto il compito di testimoniarlo vivo anzitutto ai suoi impauriti discepoli; infatti san Tommaso d’Aquino la chiama “apostola degli apostoli”.
Il Decreto indica tre ragioni per questa “promozione”: approfondire la dignità della donna nella Chiesa, richiamare la necessità dell’annuncio della buona novella e ricordarci “la grandezza del mistero della misericordia divina”. Ed è quest’ultimo aspetto quello che commuove di più, se — anche solo per un poco — ci si immedesima nella vicenda umana di quella donna così fragile e fedele, così affettivamente intensa e consapevolmente bisognosa. Onorandola di una festa, la Chiesa ci invita a non aver paura della nostra umanità, perché il cristianesimo autentico non ne elimina neppure una briciola e tutta la purifica.
Siccome quello che la Chiesa decide sulla terra viene ratificato nei cieli, mi immagino la dantesca “candida rosa” del paradiso (una specie di immenso stadio con le gradinate) il prossimo 22 luglio: Maria Maddalena viene invitata a prendere un posto più alto, giusto a fianco degli apostoli che sono le colonne della Chiesa; lei arrossisce un po’ per tanto onore e poi sorride rispondendo all’applauso fragoroso dei beati. I quali — come Piccarda Donati ha spiegato a Dante — non sono gelosi del posto più elevato che spetta ad altri, perché nella volontà di Dio — dicono e sperimentano — “è la nostra pace”.