Per difendersi dalla valanga di informazioni che lo investe, l’uomo contemporaneo, all’est come all’ovest, tende ad alleviarsi la fatica di un giudizio ricorrendo a delle etichette preconfezionate che gli consentano di riconoscere al volo il buono e il cattivo, ciò che è “giusto” e “sbagliato”: magari grazie a un giro di frase, a delle parole-chiave che automaticamente gli permettano di catalogare una certa realtà. Non è molto da uomini liberi ma è molto comodo, e per stare al passo prima o poi ci caschiamo tutti, in varia misura. Il rischio, però, è che si prendono delle solenni cantonate, soprattutto quando i “segni” che ci offrono sono fatti apposta per indurci in errore.
Prendiamo, per fare un esempio, un personaggio come il filosofo russo Aleksandr Dugin, nazionalista ortodosso vicino ai circoli del potere senza esservi direttamente implicato. La sua stessa carriera dice di quanto favore goda presso il governo: dal 2008 è l’ideologo ufficioso del partito di Putin “Russia unita”; è professore di sociologia all’Università statale di Mosca e direttore del Centro ricerche per la conservazione; dal 2012 fa parte del Consiglio di esperti presso il Presidente della Duma, e ha creato con lo scrittore stalinista Aleksandr Prochanov (che porta in giro icone che raffigurano Stalin come santo, “unto dal Signore”) il club politico d’élite “Izborskij”, che nel 2015 ha ricevuto un finanziamento presidenziale di 10 milioni di rubli, frequentato da alti personaggi come il ministro della cultura Medinskij e il neo arcivescovo Tichon Ševkunov, definito il “padre spirituale” di Putin.
Dugin è il padre dell’eurasismo, la teoria espressa dallo slogan “la Russia non è Europa”, che ha ispirato a Putin l’unione eurasiana con alcuni paesi dell’ex Unione Sovietica. In effetti, Dugin sogna di rifondare l’Impero e noi sappiamo che Putin ha definito il crollo dell’Unione Sovietica “la più grande tragedia geopolitica del XX secolo”, e quindi una certa consonanza con le idee guida dell’attuale politica russa pare innegabile.
Ma Dugin è anche il rappresentante dell’ortodossia conservatrice e patriottica, quella che veglia sulla purezza dei costumi e delle tradizioni, e che per questo rifiuta l’Occidente corrotto e gli contrappone la Russia dei sani valori familiari. “Proponiamoci di difendere l’Europa dai gay, dalle Pussy Riot, di salvare l’Europa da se stessa. È evidente che la coscienza europea si sta sfaldando. Tutti gli europei capaci di intendere e di volere capiscono che tra pochissimo l’Europa diventerà un baratro in cui proliferano la degenerazione e gli emigranti, che semplicemente distruggono l’identità europea; si deve pur fare qualcosa”.
E qui cominciamo a intuire che Dugin, anche se ben pochi lo hanno sentito nominare in Occidente, vi è molto popolare; per lo meno lo sono le sue idee che sono diventate discorso politico corrente delle destre europee e di molti circoli cattolici fondamentalisti. Sono familiari i suoi slogan, i suoi “grandi valori”, che sferzano la cattiva coscienza occidentale e le fanno desiderare la catarsi.
“Il nostro impero globale euroasiatico che includerà l’Europa, sarà una splendida applicazione della nostra multi-culturalità eurasiatica in Europa, e dimostreremo cosa sia la vera tolleranza, non come indifferenza nei confronti dei nuovi venuti, ma come integrazione delle comunità e delle culture più diverse in un’unica civiltà”.
Chi non sottoscriverebbe l’idea di integrazione? Chi non vuole arrestare il disgregarsi dell’identità europea? Dugin dice persino che “l’economia è importante ma non è tutto, non di solo pane si vive. La cosa importante è rispettare la dignità umana”. E gli europei applaudono: “Ho parlato in un importante centro di cattolici conservatori a Parigi. C’era tantissima gente, quasi come allo stadio, e gli ho raccontato di quel che abbiamo in comune e loro dicevano: ‘Vogliamo unirci a voi, avete una Chiesa così conservatrice, la vostra società, a differenza della nostra, conserva il decoro; possiamo solo ammirarvi: uniamoci'”.
In effetti la propaganda contemporanea non somiglia affatto ai rozzi prototipi sovietici, sa che gli aspiranti sudditi della futura Eurasia si attendono delle parole rassicuranti, delle etichette comprensive, anzi, più comprensive sono, meglio è.
E così Dugin, campione dell’ortodossia, si è adeguato e dopo aver offerto ai cattolici la difesa dei valori tradizionali si è allargato anche all’altra componente significativa dell’Occidente, cercando di spiegare a una parte e all’altra cosa sia la vera tradizione: “Il problema dell’omosessualità è davvero un problema complesso. Se consideriamo la Tradizione Primordiale, vediamo che essa non la condanna come tale. … A me sembra che il fenomeno dell’omosessualità può essere commerciale o patriottico. E noi come Stato, come civiltà abbiamo fatto un errore fondamentale svendendo senza combattere il discorso omosessuale. Oggi noi dobbiamo sostenere l’omosessualità patriottica, contrapponendola alla sodomia europea. Così toglieremo agli attivisti occidentali una carta vincente”.
Dove non si capisce quale sia la violenza maggiore, se quella contro i patrioti o quella contro gli omosessuali; di fatto c’è una violenza ancora più grande, quella di utilizzare degli esseri umani come una “carta vincente” con la quale ingannare e schiacciare il nemico di turno, facendo violenza sulle parole. E gli uomini non si rendono più neppure conto di essere offesi per il semplice fatto che alla parola persona, patriota, omosessuale non corrisponde più un essere reale. L’Occidente farà bene a fare i conti con questi nuovi prodotti da romanzo orwelliano.