Window of opportunity. Il sociologo spagnolo del momento Victor Pérez Díaz, di formazione nordamericana, usa un’espressione anglosassone (che significa finestra di opportunità) per descrivere quel che può rappresentare l’attuale crisi economica e politica. Alla vigilia di elezioni da molti percepite come una minaccia per via del patto tra le sinistre che potrebbe portare il populismo al potere, Pérez Díaz parla di un’occasione per superare vecchie malattie. Il Professore ha appena pubblicato un paper intitolato “La qualità del dibattito pubblico in Spagna”, in cui riporta una conversazione tra intellettuali, giornalisti e responsabili di fondazioni.

Le crisi, comuni in tutta Europa, hanno portato alla luce problemi che finora, per abitudine, non si riuscivano a inquadrare bene. Uno è la dinamica della tribù in cui la sinistra e la destra non rappresentano più ipotesi di interpretazione, ma identità che alimentano la pigrizia, il pretesto per non ascoltare o non dialogare. Un altro è il cainismo che cerca un capro espiatorio nell’altro. A cui si aggiungono la considerazione dell’avversario politico come nemico e un’eccitazione emotiva che rafforza le obiezioni al dialogo. Il bene comune è solamente da una parte. La fiducia è possibile solamente verso “i miei”, quando non nella cerchia più ristretta di amici o nella famiglia.

Non c’è nulla di ingenuo nel considerare questo momento come un’opportunità. Forse è un’occasione perché mostra che l’agenda pubblica continua a essere determinata da governi sempre più impotenti; rivela l’inadeguatezza dei partiti politici rispetto alle sfide del momento; evidenzia una concezione della democrazia ridotta a un sistema variabile in cui le maggioranze del momento si impongono su quelle che in determinati periodi sono minoranze.

Se dalla descrizione sociale e istituzionale passiamo al ritratto antropologico dobbiamo usare i colori che sulla tavolozza lasciano le tonalità del deserto: sono tanti, tutti desolanti. La cosa interessante è confrontare. Dove alcuni vedono una finestra, altri segnalano una minaccia. I secondi ritengono che la crisi politica implichi un grave rischio per le libertà. La breccia aperta dal populismo può compromettere il poco spazio lasciato all’iniziativa sociale, può far entrare i neo-totalitarismi, può mettere in pericolo il welfare. Questo nell’ambito politico, mentre in quello dei valori occorrerebbe, per esempio, raddoppiare le difese contro l’ideologia di gender, ideologia che, come in passato il marxismo, pretende di rovesciare l’essenza della tradizione occidentale.

La differenza è senza dubbio nella profondità e nel realismo dello sguardo su quel che accade. La posizione che sottolinea la minaccia segnala fattori senza dubbio importanti. Ma paradossalmente non arriva a trarre le conseguenze ultime dalla diagnosi sul significato dei sintomi che sono sotto gli occhi di tutti. Se le libertà sono in pericolo è perché l’evidenza del valore dell’altro è scomparsa e la stessa convivenza è rimasta senza fondamenta. Se il populismo avanza è perché strumentalizza un desiderio di autenticità nella vita pubblica che un trionfo aritmetico del costituzionalismo non riuscirà a fermare. Se l’ideologia di gender prospera è perché in queste condizioni è assolutamente impossibile percepire come positivo il fatto che la propria identità è un dono.

Uno sguardo disposto a farsi carico della profondità del cambiamento d’epoca dà un peso relativo – che non significa disprezza – alle soluzioni provvisorie e puramente difensive. Le contempla con sana ironia. Le soluzioni devono essere sempre graduali, ma devono essere soluzioni. E non è una soluzione mettere una toppa su un buco nel muro quando non c’è una casa: la casa in cui l’Occidente ha vissuto negli ultimi duecento anni non c’è più. È inutile mettere delle sedie intorno a una stufa in un casolare senza pareti. Uno sguardo che fa i conti con la vera situazione attuale scopre con simpatia le occasioni in cui si presenta il bisogno, con tutto il suo carattere perentorio.

La paura è sempre sterile. Soprattutto quando si ha paura di perdere qualcosa che non si ha più.