Nell’attentato di Nizza è morto Mario Casati, padre di una mia carissima amica, Ilda Casati Gravina. Questo e tutti i fatti drammatici di questi giorni mi inchiodano a una domanda: che tipo di desiderio umano può giustificare un atto che distrugge la vita di 84 persone di cui non si sa nulla – tra cui anche dei musulmani – e che hanno come unica colpa quella di far parte della categoria astratta dei “nemici”? E ancora: la reazione a questi fatti, che stanno quasi diventando la normalità, come ci sta cambiando? L’Isis non è una novità, purtroppo, sbucata all’improvviso chissà da dove. Chi ha letto “I demoni” di Dostoevskij, che parla dei terroristi della sua epoca, chi si è inorridito davanti ai racconti di Solženicyn sui Gulag, chi ha vissuto gli anni di piombo delle Brigate Rosse, ha fatto esperienza della stessa pretesa che è propria di ogni ideologia: spacciare il male per il bene. Come diceva Solženicyn, Iago sapeva di fare il male mentre lo faceva, il malvagio moderno invece costruisce un sistema di pensiero che lo mette al riparo dal rimorso, che zittisce quel cuore infallibile, che è prerogativa di ogni essere umano, per non farlo stare male quando fa il male.
Questo male è qualcosa che ci riguarda, non solo perché può raggiungere tutti in ogni momento, ma soprattutto perché ognuno di noi ha il suo modo di fare il male cercando di convincere sé e gli altri che sta facendo il bene. Eppure succede sempre prima o poi un imprevisto che ci fa rialzare lo sguardo.
A me è accaduto in una serata di luglio, con la luna piena alta nel cielo. Ero in una comunità di recupero e ho ascoltato il racconto di alcuni ragazzi tornati alla vita dopo essere caduti nel baratro della droga. Ed è stato sorprendente sentire dire dal responsabile della comunità: “La ferita ce l’hai addosso e io non sono capace di riparartela. Questa ferita ce l’ho anche io e non te la metto a posto, non ti soddisfo io”. E poi sentirlo offrire un cammino da fare insieme per scoprire che la ferita è una grande risorsa se non si cerca di calpestare l’altro per nasconderla, facendo finta che questo sia bene.
Ciàula, il protagonista del racconto di Luigi Pirandello, era un ragazzo che viveva portando su e giù lo zolfo da sottoterra. Era considerato da tutti una bestia senza coscienza, senza passato, presente e futuro.Contrariamente alle apparenze, in realtà era un uomo che sentiva la sua ferita e non la drogava. Per questo una notte, volgendo lo sguardo in alto, si stupisce della luna, si accorge che quella bellezza è lì per lui: “E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore”.
Anestetizzare e drogare il cuore. Oppure la bellezza. Questa è la grande alternativa. Si può scoprire nel lungo cammino di ritorno alla vita, non senza la fatica del sacrificio quotidiano, la bellezza della Luna e delle stelle, del mare, del bambino che sorride, del colore dell’uva coltivata, della nonna che prega. Quei ragazzi che ho incontrato si sono accorti di non essere irrimediabilmente malvagi, ma solo sporchi di nero. E hanno iniziato achiedersi chi dà loro la vita, chi dà loro l’amore, a mettersi una mano sul cuore e a piangere, come successo a Ciàula. Può capitare di scoprire che l’altro non è un nemico, ma qualcuno che ti fa scoprire che si può ricominciare a vivere, sperare, lavorare, amare, far famiglia e costruirsi un futuro senza dover ricorrere alla violenza, verso gli altri o verso se stessi, mascherata come bene dalle ideologie del quotidiano. In questo 2016 ci sono degli imprevisti che accadono e ci indicano una via per non diventare tanti piccoli Isis. E sono misteriosamente e positivamente connessi con il sacrificio di Mario Casati e dei tanti altri morti innocenti.