Abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo nel sentire le parole del capo della polizia di Monaco di Baviera, Hubertus Andrae. Parole in cui si spiegava che non c’era collegamento tra il giovane responsabile della strage di venerdì scorso e il terrorismo islamico. È stato un sollievo sapere che la morte di nove persone è stato opera di un adolescente squilibrato, ossessionato dagli omicidi di massa. Colpiti da tanto dolore ci siamo fatti un’immagine apocalittica di questa estate in cui la vita sembra non valere nulla, nemmeno qui in Occidente. Sotto il peso dei 50 morti di Orlando, delle 84 vittime di Nizza e dei 9 uccisi nella città bavarese.

Andrae è parso mettere tutto a posto. Anche se forse non è così facile “smontare” la somma dei morti che ci ha così impressionato. Indubbiamente si tratta di casi diversi: non è lo stesso se un giovane di origine iraniana depresso spara alla folla in un centro commerciale o se un riservista nero uccide in Texas cinque poliziotti bianchi per via del colore della loro pelle. O se meno di dieci giorni dopo un ex marine compie un’azione simile in Louisiana. Non sembra nemmeno esserci un legame tra la violenza di origine più o meno razziale e la radicalizzazione islamista di un tunisino di Nizza o di un rifugiato afghano che usa armi da taglio su un treno in Baviera.

C’è chi fa dei paragoni tra quello che sta succedendo in questa estate e quello che accadde negli Usa nel 1968, quando arrivavano migliaia di bare dal Vietnam, gli scontri razziali incendiavano le grandi città e la polarizzazione politica dava vita a una caldissima campagna elettorale presidenziale tra Richard Nixon e Hubert Humphrey. Fortunatamente ora non c’è una guerra come quella del Vietnam, il conflitto con l’islamismo è più diffuso e causa un altro tipo di vittime. Non si possono fare paragoni esagerati, ma tutto sembra dire che siamo dinanzi a un cambiamento epocale in un contesto di grande violenza. Una violenza che, su entrambe le sponde dell’Atlantico, è più che mai provocata da grandi costruzioni ideologiche e da lunghi processi di indottrinamento, che sembra figlia di un abominevole fascino per la morte e la distruzione. 

I neo-jihadisti europei, che sembrano quelli più armati e con giustificazioni per morire e uccidere, in realtà non vanno in moschea, spesso provengono dal mondo della delinquenza comune e ricevono una “spolverata” veloce su internet riguardo la causa che dicono di sostenere. C’è chi dice che siamo davanti alla terza ondata di jihadismo con una strategia globale calcolata. Potrebbe essere, ma senza dubbio coloro che hanno ragione sono quelli che alcuni anni fa parlavano della presenza di un nuovo fantasma in tutto il pianeta: il fantasma di un nichilismo non più ingenuo ma distruttivo. Un nichilismo che vuole rovesciare tutto, figlio di una rabbia cieca. Il fascino della distruzione, della possibilità di causare dolore, non sembra avere limiti. Tutti gli attacchi sono compiuti da suicidi, tutti vogliono annichilire e annichilirsi, affermarsi con la massima negazione, causando a sé e agli altri un male definitivo, irreparabile. 

La sovranità dell’io si raggiunge con l’affermazione del nulla, con la propria morte e quella degli altri. Anche se l’attacco viene compiuto in nome di Dio, si pretende, consapevolmente o meno, di sostituirlo nella capacità unica che ha il Mistero, descritta ne “La città di Dio” di Sant’Agostino, secondo cui se Dio toglie la sua potenza creatrice dalla cose da Lui create, queste tornerebbero al loro nulla primitivo. Che tutto torni al nulla!, è il grido dell’attentatore. In questo senso sì che si può parlare di una violenza religiosa, o meglio anti-religiosa. Perché quel che caratterizza la religione è un legame, un’affermazione immediata della realtà, della sua origine e del suo carattere positivo. E ora la negazione pretende di essere inappellabile.

In questa estate in cui la furia del nulla sembra protagonista, è più chiara che mai la necessità di tornare a percorrere il cammino vecchio e nuovo che consentirà di recuperare qualcosa che fino a poco tempo sembrava evidente a tutti: è meglio costruire che distruggere, è più umano affermare la vita che annientarla. Tutto questo non si può dare per scontato.