Di questa Giornata mondiale della gioventù c’era un bisogno come dell’aria. Avevamo bisogno di ritrovare davanti agli occhi la speranza non solo dichiarata o auspicata, ma vissuta e incarnata da quelle centinaia di migliaia di giovani. C’era bisogno di poter ascoltare le parole dell’unico grande personaggio pubblico, papa Francesco, che oggi al mondo non faccia retorica e non parli da sconfitto.



La Gmg è come un qualcosa che riaffiora un po’ misteriosamente ogni due anni, che riaffiora destando ogni volta spiazzamento e stupore nelle intelligenze libere. È uno di quei fatti che non sta dentro nessuna delle logiche correnti, che non si spiega con nessuna analisi culturale, antropologica o sociologica. C’è un qualcosa di non preventivato in questa incredibile (nel senso che non ci credi sinché non lo vedi) rinnovarsi del cammino di un numero davvero non numerabile di giovani verso un punto e verso una persona. Non preventivato perché non ha nulla di rituale. È un ripetersi che non ripete, perché è come se fosse sempre una prima volta: chi era giovane con Wojtyla non lo è più certamente oggi, ma oggi ci sono invariabilmente altri giovani al suo posto.



È un fatto non preventivato perché non c’è una somma di indizi o di fattori che faccia intuire, né che spieghi, né tanto meno che inquadri, quel convergere di giovani così diversi per storie, per sensibilità e per provenienze. Non basta dire che a richiamarli sia il carisma di una persona, perché è dimostrato che quella persona, il Papa, cambia, ma l’esito è sempre lo stesso. Che sia il più austero Benedetto XVI o il più informale Francesco, quell’esito non cambia.

C’è allora da chiedersi allora cosa calamiti con tanta immediatezza e quasi istintività tanti giovani. E l’unica risposta verosimile è che a richiamarli sia il palesarsi di un bene. Palesarsi significa che questo bene non è semplicemente un valore di riferimento, ma deve essere per forza una realtà concreta. Un’evidenza. Non ci si muove infatti per un valore. Ci si muove per qualcosa che attrae, che si tocca e che si sperimenta. Il bene è un qualcosa che ha implicazione diretta nei gesti, negli sguardi: in quel modo d’essere delle persone che sgorga come per un istinto. Che non può essere esito di pur buone intenzioni.



“Tu sei un bene per me” è il bellissimo titolo del prossimo Meeting di Rimini. Ecco il segreto, il senso profondo delle Gmg potrebbe essere reso proprio da quella sinteticissima formula. È evidente che quei giovani abbiano la coscienza ciascuno di essere innanzitutto un bene per l’altro, come riflesso, anzi come incarnazione di quel bene più grande di cui i papi sono umili tramiti sulla terra. È il bene cantato nel Magnificat ha detto ieri il Papa, «il cantico di Maria, che loda il Signore e la sua opera di salvezza». Il bene perciò non può essere un orizzonte, né un programma. Il bene per essere tale deve essere un qualcosa che è molto prossimo alla vita di ognuno, che entra dentro la vita. Il bene è una relazione. Una capacità sempre nuova di essere relazione.

In questi tempi noi siamo messi invece davanti al ripetuto rivelarsi del male, in forme che ogni volta non si immaginavano possibili, e scopriamo che il segno vero del male, il suo disegno, è proprio quello di distruggere le relazioni. Di renderle impraticabili. Di indurre ognuno a chiudere le porte ed erigere i muri. Per questo invece respiriamo, sospinti quasi da un senso di gratitudine, assistendo all’emergere di un bene, che prende la forma di quei giovani che gli vanno incontro, senza riserve e senza calcoli. Un bene, quello che loro sperimentano, che non accetta di farsi confinare o definire da quel male.