Dal punto di vista lavorativo luglio è un mese parecchio complicato; sulla scia del ritornello “finiamo tutto prima delle ferie” si consuma un’accelerazione dei ritmi che incrementa ansie e preoccupazioni, sopportate in vista delle agognate vacanze.
Ho avuto la fortuna di avere un breve assaggio preventivo delle ferie, andando alcuni giorni a Cervinia. Il tempo è stato generalmente favorevole, ma una giornata è stata incredibilmente limpida: la maestosa piramide del Cervino e tutte le vette lì vicino sono rimaste sgombre di nuvole – cosa rara – per tutta la giornata. Che per me è cominciata molto presto; per un insolito attacco d’insonnia (forse dovuto all’altitudine), alle quattro ero sveglio come un grillo ed essendo stufo di rigirarmi nel letto, mi sono vestito e sono uscito. C’era già chiaro sebbene solo allora i raggi del sole nascente cominciassero ad indorare direttamente le cime più alte: era come passare da un fil film in bianco e nero ad uno a colori realizzato con le tecnologie più avanzate. Unico rumore di accompagnamento il fragore lontano delle innumerevoli cascatelle che incidono lo spazio del loro scorrere sul ripido dorso della montagna. Sono stato fuori per un’oretta e mentre tornavo in camera per tentare di fare un ultimo brandello di sonno, mi sono accorto che in quell’ora non avevo “pensato” a nulla. Non che fossi stato incosciente oppure totalmente ottuso; è che di fronte ad una bellezza così travolgente, la venerazione che nasce, lo stupore che attinge ad un fondo profondissimo di sé, la pace che mi son sentita promettere da quel nuovo giorno che dilagava su una delle più belle montagne del mondo, tutto questo non si era formulato in pensieri come quelli che verrebbero in una discussione, anche seria, non si era tradotto in parole, seppur dette solo a se stesso. I miei pensieri in quell’ora, cioè, non sono stati una dialettica — con nessuno: né me stesso, né altri e neppure il Padreterno — ma una presa d’atto; che si è espressa con un silenzio nient’affatto vuoto, anzi pienissimo, per esempio, di gratitudine.
Nella mattinata abbiamo fatto una gitarella per arrivare vicino ad una delle cascatelle che avevo visto di prima mattina. Ora lo spettacolo era completamente diverso, ma altrettanto stupefacente: tutti i colori – il cielo azzurro quasi cupo, il verde splendente dei prati, le rocce brune e la neve bianchissima da dar fastidio agli occhi — mostravano il massimo della loro intensità.
Arrivati a destinazione facciamo dei canti, qualche chiacchiera che però — almeno per me — si spegne per lasciar spazio, ancora una volta, allo strano silenzio del pensiero come al mattino; silenzio in cui parla la luce debordante del sole, la maestosità del Cervino che sembra tanto vicino da potergli toccare la cima, ed anche quei minuscoli fiori che screziano l’uniformità del verde erboso. Stessa impressione — ma non ho spazio per dilungarmi a descriverla — al tramonto, quando adagio adagio tutto si spegne per consegnarsi all’abbraccio dell’oscurità notturna.
Il riposo, dunque, non è solo uno svago dalle solite faccende o un ritemprarsi del fisico, è anche la scoperta di un modo di guardare (paesaggi ma anche opere d’arte) che interrompe per un po’ il flusso dei pensieri meccanici, reattivi o dialettici per lasciar spazio ad altri pensieri: quelli della silenziosa contemplazione. E della, magari implicita, gratitudine per Chi quella “grande bellezza” pone davanti ai nostri occhi.