Chi ha cominciato? Quando eravamo piccoli e si litigava, spesso ci sentivamo rivolgere questa domanda. E la risposta, inevitabilmente incrociata, era sempre: “lui!”
Ognuno legge i fatti dal suo punto di vista, li legge come vuole e la colpa, la provocazione, la scintilla che scatena la lotta sono sempre responsabilità dell’altro.
Nella storia dell’uomo bianco e dell’uomo nero in questo paese chiamato America lo sappiamo benissimo chi ha cominciato. I quasi tredici milioni di africani strappati alla loro terra, imbarcati e spediti verso il nuovo mondo per essere venduti come schiavi sono un fatto. Sono parte della storia di questa terra. Un numero impressionante, più del doppio delle vittime dell’Olocausto. Certo, il tutto in un arco di tempo molto più lungo e sicuramente con più sopravvissuti che nei lager nazisti. Ma, tanto per avere un’idea della barbarie, oltre due milioni di africani morirono durante il viaggio per le condizioni disumane con cui venivano trattati.
Ecco chi ha cominciato, su questo non c’è dubbio. Ha cominciato chi ha creduto di essere più uomo dell’altro e pertanto di poterlo dominare ed usare per i propri fini, per il proprio benessere e la propria ricchezza.
Ecco dove sta il peccato originale della questione razziale americana. Un peccato che non si redime.
L’altro giorno in Minnesota abbiamo assistito ad un nuovo atto di violenza ingiustificata da parte di un poliziotto nei confronti di un uomo di colore. Un copione che in questi ultimi tempi si è andato ripetendo troppe volte: la polizia ferma un’auto per un’irregolarità (in questo caso un fanalino posteriore rotto) e poi chissà cosa succede fino alla tragica conclusione: il poliziotto spara, un uomo muore dissanguato, una bimba piange nel sedile posteriore, e una giovane donna che in diretta racconta tutto a tutto il mondo via Facebook.
Ed ecco che, ineluttabilmente, arriva dell’altro sangue innocente a lavare il sangue innocente di Philando Castile, il trentasettenne ucciso a Falcon Heights, Minnesota.
Una pacifica manifestazione di protesta a Dallas, Texas, si trasforma in una strage di poliziotti. Un cecchino (Micah Xavier Johnson, 25 anni, riservista) con uno scopo chiaro: punire l’uomo bianco, vendicarsi per l’ennesima ingiustizia subita.
Ci sono quasi mille miglia tra Falcon Crest e Dallas, ma la rabbia le ha coperte in un nulla. Ci sono pochi metri tra dove sono caduti i poliziotti e dove, nel novembre del ’63, venne ucciso John F. Kennedy.
Abraham Lincoln, Martin Luther King, John F. Kennedy, anni di lotte per i diritti civili, rivolte, rabbia, tanta pena e sofferenza ed il primo presidente di colore della nostra storia non sono bastati a lavare quel peccato originale.
Come possiamo fare con questa piaga incurabile che non vuol guarire?
In tutte le cose della vita siamo sempre a cercare un punto di equilibrio: lavoro, famiglia, interessi, rapporti personali, persino nell’alimentazione e nell’attività fisica. Ci affanniamo a cercarlo anche nella nostra convivenza civile tra tutele, limitazioni, garanzie. Ci affanniamo tanto per poi ritrovarci con in bocca quel sapore amaro del fallimento, perché anche quando ci sembrasse di avercela fatta arriva Orlando, arriva Falcon Crest, arriva Dallas. Non c’è un punto di equilibrio, non esiste. Ci può solo essere un punto di verità al quale ancorarsi. Ci vuole un padre e ci vogliono dei figli che questo padre lo riconoscano per il bene che vuole loro. Come quando si litigava da piccoli e ci chiedevano chi avesse cominciato e la più grande giustizia era essere corretti ed abbracciati.