La scia di sangue delle ultime settimane non può non far sorgere paura e preoccupazione per chi desidera un futuro di pace e di dialogo. Del resto anche tanti commenti ispirati alla contrapposizione, all’odio verso il nemico, non convincono. Che cosa vince la paura? La decisione di dire che dobbiamo andare avanti senza lasciarci intimorire? La speranza statistica di non essere colpiti nei nostri affetti più cari? Di essere assorbiti dalle preoccupazioni quotidiane? È inutile dire che sono cose che non bastano. La paura è vinta solo da un’esperienza di libertà. 

Da 15 anni dirigo a Milano un centro di aiuto allo studio gratuito, che si chiama Portofranco, in cui ogni giorno oltre 50 volontari sostengono più di 100 ragazzi nella fatica e nell’impegno dello studio.  Questa esperienza di libertà di cui parlavo prima la vivo quotidianamente nelle aule di Portofranco vedendo volontari e studenti di ogni origine sociale, religione e cultura (il centro è frequentato da  ragazzi provenienti da 30 paesi diversi), che a partire dallo studio si confrontano dialogano e diventano amici. 

Luoghi come questi sorgono in tanti posti di Italia in forme diverse, si chiamano Casa di Sem, Cometa, Ikaros… gruppi parrocchiali… Sono realtà che nascono dalla passione educativa di qualche adulto e che a partire dall’affronto di un loro bisogno incontrano i ragazzi senza pregiudizi, creando luoghi di aggregazione e di socialità muovi. 

Sentite cosa racconta un ragazzo somalo sbarcato nove mesi fa a Lampedusa, incontrato da alcuni ragazzi in un doposcuola e invitato a una vacanza di studenti delle scuole medie superiori appartenenti al movimento ecclesiale di Gioventù studentesca.

«Ciao a tutti, mi chiamo Mustafà  e ho 16 anni. Vengo dalla Somalia e sto in Italia da nove mesi. Durante la vacanza tutto mi è sembrato molto bello e divertente: il posto, le montagne, i giochi e soprattutto gli amici. Dalle mie parti noi diciamo che ci sono gli amici “ciao”, gli amici “come stai?” e gli amici “andiamo”. I primi sono quelli che ti dicono soltanto “ciao”, i secondi invece vanno un poco oltre e ti chiedono anche “come stai?”, i terzi però oltre a tutte queste cose ti dicono “andiamo!” e sono soltanto loro quelli che sono amici veri, o come diciamo in Somalia “amici grandi”. Ciò che mi ha colpito molto in questa vacanza è stato trovare soltanto quegli  amici che appartengono alla terza categoria, amici che mi dicono “andiamo” e che conoscono il mio nome. Ho incontrato soltanto amici grandi».

I fatti di sangue di questi giorni urgono la mia responsabilità a costruire luoghi così, a essere io stesso un luogo di incontro così, perché solo in questo modo potremmo nel tempo fermare la barbarie che avanza e costruire spazi di libertà in cui si possa vivere e respirare incontrando amici che dicono “andiamo” dentro l’avventura affascinante della vita!