Due anni fa al Meeting di Rimini si era parlato di periferie esistenziali (“Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”) mettendo in luce quanta energia di vita e creatività c’è tra la gente-gente, quella che di solito non è ricordata nei libri di storia, ma che è il centro da cui ripartire. L’anno scorso con il verso di una poesia di Mario Luzi, “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?” ci si è interrogati su quella mancanza che non fa chiudere in sé stessi ma ci spinge continuamente a cercare, facendoci percepire la bellezza nascosta in ciò che c’è intorno.
Quasi a completare una sorta di trilogia ideale, quest’anno al Meeting di Rimini abbiamo visto che non basta stupirsi della grandezza nascosta in ogni angolo del mondo, seppur mossi dalle urgenze del nostro cuore. “Tu sei un bene per me” ha rappresentato un ulteriore passo: la possibilità di scoprire che la nostra identità emerge compiutamente nel rapporto con un altro, che sia quella persona apparentemente insignificante che vive accanto a noi o colui che vorrebbe la nostra morte. Ha detto don Julián Carrón nell’intervista concessa al Quotidiano Meeting: “Ho scoperto che l’altro non era soltanto un ostacolo, ma era qualcosa che mi spalancava a capire di più, a domandarmi delle cose, a scoprire nuovi orizzonti che prima non avevo immaginato. Allora ho percepito che la realtà è amica, che l’altro è amico indipendentemente da quale sia la sua posizione. Perché ti fa diventare di più te stesso”.
Non è una utopia, è un’esperienza vissuta e visibile e il Meeting, come da sua tradizione, ha scelto di raccontarlo da diverse parti del mondo attraverso testimonianze che rispondono a una domanda concreta: colui che la pensa diversamente da me, che appartiene a una religione o a una etnia diversa dalla mia, come può non essere più un nemico, ma un amico, un bene per me?
La testimonianza dei martiri gesuiti, raccontati nella mostra “American Dream” dedicata ai santi americani, è il primo di questi esempi. Desiderosi soltanto di mettersi al servizio dei nativi, li hanno aiutati a migliorare le loro condizioni di vita, assumendone anche usi e costumi e in alcuni casi finendo uccisi dagli stessi nativi. Addirittura, chi ha ucciso tuo padre può diventare un bene per te, come si è visto nel commovente incontro tra Agnese Moro e Maria Grazia Grena, ex appartenente a gruppi armati.
Da questi fatti possono nascere modi diversi di guardare ai problemi che assillano l’umanità dandole speranza. Vale in questo senso quanto ci ha detto il Gran Muftì di Croazia Aziz Hasanovic, che da tempo si reca nei paesi islamici a chiedere ai musulmani di difendere i diritti dei cristiani, e quanto ha proposto il sindaco di Firenze Dario Nardella: far rinascere l’idea di Giorgio La Pira di una alleanza fra le città anche in Stati che sono tra loro ostili: “Unire le città per unire le nazioni”.
L’ecumenismo poi, che rinasce non da dibattiti teologici, ma dal paragone tra due “tu” che si guardano: don Stefano Alberto e il professor Weiler hanno riletto insieme le parabole evangeliche, ognuno partendo dalla propria fede; Vladimir Legoyda del patriarcato ortodosso di Mosca e Monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico della capitale russa, hanno invece approfondito in termini esistenziali lo storico incontro avvenuto a Cuba tra papa Francesco e il patriarca Kirill.
Abbiamo avuto modo di sentir parlare di opere di accoglienza degli ultimi, in cui riecheggia l’appello alla misericordia del papa come dimensione della vita. Realtà come l’Associazione di volontariato “Opera San Nicola”, creata da don Mario Persano, che nella periferia di Bari ha creato un luogo di accoglienza per bambini, giovani, famiglie e anziani in difficoltà. Una vita spesa insieme ai più dimenticati, come quella di don Claudio Burgio impegnato nel difficilissimo compito di accompagnare i ragazzi del carcere minorile Beccaria di Milano. O come quella di Guido Piccarolo che a Los Angeles aiuta disabili e reduci delle guerre americane, che negli Usa sono gli ultimi tra gli ultimi. Così anche per padre “Pepe” impegnato nelle “villas miseria”, le bidonville alla periferia di Buenos Aires dove una umanità esclusa da ogni benessere sociale è preda dei narcotrafficanti.
Testimonianze illuminate dall’esempio di Madre Teresa con il ricordo della quale, in attesa della sua ormai prossima santificazione, si è concluso il Meeting.
Infine la politica. Tutti gli autorevoli studiosi che si sono alternati a rievocare la storia dei 70 anni della Repubblica — Violante, Amato, Cassese, Sapelli, Valensise, Giovagnoli — hanno spiegato che solo quella via alla convivenza civile e alla politica come ricerca virtuosa del compromesso tra le parti tratteggiata dal presidente Mattarella nel suo intervento di apertura del Meeting può riavviare il nostro Paese verso una ripresa: “La Repubblica, di cui abbiamo celebrato i settant’anni, è stata una scelta di popolo che ci ha consentito di risalire la china che avevamo percorso in caduta, il baratro nel quale eravamo precipitati negli anni della dittatura, con i lutti e la disperazione della guerra, con le macerie della distruzione. La Repubblica è nata da un referendum, e dunque da un confronto democratico. La divisione degli orientamenti, però, è stata tradotta in una straordinaria forza unitaria”. E’ esattamente quello che abbiamo visto riaccadere nelle ore successive al tragico terremoto che ha sconvolto il Centro Italia, una solidarietà spontanea e commovente che ha messo insieme senza divisioni tutte le persone davanti alle “macerie della distruzione”: essendo l’altro la radice del mio bene, quando ha bisogno, quando non ha più niente, non può che mettermi in movimento. E’ sempre stato così nella storia del nostro Paese.
Quello che abbiamo visto e ascoltato in questa settimana è una strada possibile e realistica, che elimina scenari ideologici fintamente positivi o cinicamente negativi: è l’atto di apertura del nostro io, l’incontro con un tu che cambia lo scenario del mondo.