Le disgrazie naturali arrivano improvvise, senza spiegazioni. La morte si abbatte senza un perché, nel più radicale non senso. Non c’è più un autore, non ci sono responsabili, tutto appare come il risultato di una meccanica cieca e impietosa che schiaccia gli uomini come formiche: è la morte nella sua gratuita efferatezza che porta via le persone amate. È la morte che, spalleggiata dal destino beffardo e indifferente, ne fa sentire le urla, le invocazioni di aiuto a chi, in superficie, cerca di recuperarle alla luce, spostando travi di cemento e montagne di mattoni: una gabbia mortale per rimuovere la quale ogni soccorritore impiegherà tempo e che spesso lo farà arrivare tardi. È il dolore degli innocenti, quello dal quale si eleva il grido di dolore, l’urlo che spezza il cuore di chiunque lo senta.
Si assiste allora allo spettacolo dell’impegno. Non ci sono solo i volontari, non ci sono solo parenti e amici, ma c’è in gioco il cuore di ogni addetto alla protezione civile, di ogni medico e paramedico, di ogni persona che, alla vista di un simile spettacolo, getta via ruoli e posizioni, per fare al meglio tutto ciò che gli appare possibile ed anche ciò che a volte sembra impossibile. C’è un’umanità commossa, che emerge in modo corale e decisivo. Il “tu sei un bene per me” rimbalza dalle sale del Meeting di Rimini alle strade sconnesse del reatino, finisce lungo il Tronto e tra i castagni dell’Appennino per diventare un’evidenza, un principio umano del quale chiunque avverte la semplice e perfetta sensatezza.
Quel titolo che Papa Francesco ha definito come “coraggioso”, diventa “la nota dominante”: quella che prende il cuore di chi, sotto le macerie, ode le voci di quanti lo hanno sentito e stanno scavando per venire a salvarlo. Ma il “tu sei un bene per me” è la nota dominante che prende il cuore anche di chi scava e vuole a tutti i costi salvare qualcuno che nemmeno conosce, ma che ama con tutte le proprie forze a partire dal momento che lo ha riconosciuto come una persona, a partire dal momento che lo ha “sentito”.
E non è finita: ci sono gli albergatori che, come accade a Rimini, offrono immediatamente i posti letto per ospitare gratuitamente le famiglie. C’è l’associazione bancaria italiana — sì, le banche, proprio loro — che invita i propri associati a sospendere i mutui per tutte le abitazioni colpite dal sisma. Ci sono poi i giovani, magari gli stessi spesso accusati di inerzia e di indifferenza, che sono lì, a spalare.
Così nel reatino, nel cuore dell’Appennino, alla notte del dominio della natura sull’uomo che, nella sua sovrana indifferenza, lo schiaccia, si contrappongono le albe dei mille volontari, dei mille donatori, anonimi, vicini e lontani. Per un attimo il concetto di “popolo” esce dalle carte costituzionali per diventare una realtà chiara, anche questa perfettamente comprensibile, che si può toccare con mano, anche in questo caso, come un’evidenza: il popolo dei volontari e dei benefattori, il popolo che abbraccia e quello che prega assieme a Papa Francesco che cambia il programma dell’incontro del mercoledì.
Occorre allora chiedersi come sia possibile che, nella società dell’individualismo autoreferenziale, sotto l’indifferenza di un io che non ha bisogno di nessun “tu” per sistemarsi nel proprio spazio privato, riesca ad emergere una tale bellezza.
Una tale eccedenza di umanità non proviene minimamente dai nostri interessi, né da un qualsiasi senso civico, né da qualsiasi cultura locale, ma precede ciascuna di queste cose: è più profonda. Emerge come l’eco di qualcosa di remoto e di potente al tempo stesso: la risposta del cuore al dolore dell’altro si rivela come una risposta totale, radicale e senza mezzi termini.
Nulla spiega questa solidarietà corale e totale, questa diffusa commozione che appare, a tutti gli effetti, come una “bellezza inattesa”, un dono che nessuno di noi si aspettava. Ma che c’è. È nel cuore di ogni uomo e questi non se l’è data da sé, né gli appartiene perché è più grande di lui.