Oggi è previsto il dibattito di investitura in Spagna e in settimana, con ogni probabilità, ci sarà un nuovo Governo. Il fatto che ci sia il dibattito è una buona notizia, per varie ragioni. In primo luogo, perché il fatto che Rajoy abbia accettato l’incarico del Re ha messo in moto il meccanismo istituzionale che permetterà, se necessario, ulteriori elezioni. L’articolo 99 della Costituzione spagnola non contempla lo scioglimento del Parlamento senza che si sia compiuto prima un dibattito per eleggere il Presidente del Governo. Sarebbe quindi stata un’anomalia sciogliere le Camere se non ci fosse stata la sconfitta di un candidato. Rajoy, che non aveva chiaro tutto questo, ora è disposto anche a fallire, perché è convinto che potrebbe provare a ottenere l’incarico con un secondo tentativo in poche settimane.
Il candidato Premier (e questo è il secondo motivo per cui è un bene che ci sia il dibattito di investitura) si presenta alla Camera con una maggioranza di 170 deputati: gli mancano 6 voti a favore o 10 astenuti per avere l’incarico. Di fatto ha ottenuto una maggioranza quasi sufficiente dopo nove mesi senza governare. Rajoy ha mostrato di essere un buon “collante” politico, dato che ha sommato ai suoi 137 deputati i 32 di Ciudadanos e l’unico deputato di Coalicion Canaria. Il voto contrario dei socialisti rappresenta una volontà di blocco ampiamente rifiutata dagli elettori del Psoe e da una buona parte dello stesso partito. Sarà eventualmente più facile esprimerlo se questo primo tentativo di Rajoy dovesse andare a vuoto.
L’investitura arriva dopo un patto del Partido Popular con Ciudadanos. Un buon patto, sebbene quasi certamente non tutte le misure previste verranno applicate, dato che ci vorrebbe una maggioranza che le due formazioni non hanno. Ma il patto ha comunque un alto valore simbolico e indica una direzione verso cui lavorare. Il Pp è un partito che non firmava un’intesa nazionale per la formazione di un Governo dal 1996, con la prima vittoria di José Maria Aznar. Gli accordi tra Pp e Ciudadanos siglati l’anno scorso nelle Comunità autonome raggiungono ora l’ambito nazionale.
Le 150 misure previste nell’accordo implicano di fatto per il Pp il riconoscimento di errori compiuti nella scorsa legislatura: qualcosa di insolito nella politica spagnola. Essere disposti a cambiare le misure fiscali, a rivedere la politica dell’istruzione e le integrazioni salariali per i ceti più bassi sono formule che correggono il trionfalismo sulla propria gestione compiuto dai popolari. Stanno dicendo che non hanno fatto tutto bene, che non si possono fare tagli senza tenere in considerazione le conseguenze sociali.
L’accordo, inoltre, indica degli obiettivi da raggiungere: è necessario limitare la partitocrazia nella magistratura, dar vita a una riforma elettorale per scegliere in forma diretta i sindaci e per aumentare la proporzionalità, rivedere la regolamentazione del mercato del lavoro che continua a essere disastrosa, e un lungo elenco di eccetera. Senza dubbio potevano essercene altri, ma l’importante è aver chiarito che il Pp può correggere quanto fatto, che in politica si può arrivare ad accordi e che questo patto ha molti punti in comune che quello firmato alcuni mesi fa tra socialisti e Ciudadanos: un motivo in più per mettere in evidenza che il no dei socialisti non sarebbe programmatico, ma puramente tattico. Ed è una triste tattica quella che mette gli interessi di un partito o di una persona davanti alle necessità di un Paese.
L’accordo con cui Pp e Ciudadanos arrivano all’investitura, così come quello firmato tra Ciudadanos e Psoe, evidenzia che non ci sono differenze insuperabili per riconoscersi in certe politiche, almeno nei tre partiti moderati. La disunione, le “differenze incolmabili” sono la conseguenza di un preconcetto. L’identità dei partiti maggioritari, debole perché non ha un contatto fluido con la vita sociale, si afferma cercando prodotti ideologici opposti a quelli del proprio avversario. E quel che oggi si difende con il coltello tra i denti domani può diventare insignificante, l’importante è garantirsi un posizionamento conflittuale.
La comparsa di un partito “cerniera”, Ciudadanos, ha messo in evidenza che il conflitto è conseguenza di un’identità fragile, virtuale. I bisogni reali del Paese permettono, se non prevale l’ideologia asfissiante, la comprensione.