«Voglio mandarvi tutti in Paradiso». Così san Francesco nell’agosto di 800 anni aveva annunciato ai frati e fedeli radunati davanti alla chiesina che era anche la sua casa, di aver ottenuto dal papa Onorio, incontrato a Perugia, l’indulgenza della Porziuncola. Il racconto è contenuto nel cosiddetto Diploma di Teobaldo, frate minore e vescovo di Assisi che nel 1310 mise su carta quello che era stata solo una tradizione tramandata verbalmente. Infatti, Francesco, davanti alla logica un po’ ragionieristica del Papa e soprattutto dei cardinali, aveva dato risposte che avevano spiazzato tutti. Disse innanzitutto che l’indulgenza della Porziuncola era “senza obolo”. E alla domanda sul numero di anni che l’indulgenza stessa avrebbe dovuto “scontare” alle anime in Purgatorio, Francesco rispose «non voglio anni ma anime». Papa Onorio gli diede anche del “semplicione” perché se andava via senza una pergamena in mano. Ma Francesco imperturbabile rispose così: «Per me è sufficiente la vostra parola. Se è opera di Dio, tocca a Lui renderla manifesta. Di tale Indulgenza non voglio altro istrumento, ma solo che la Vergine Maria sia la carta, Cristo sia il notaio e gli Angeli siano i testimoni».



Episodio stupendo questo della concessione del Perdono di Assisi, come sarebbe stata chiamata l’indulgenza della Porziuncola. Episodio da cui papa Bergoglio non ha mancato di prendere spunto ieri in occasione della sua breve visita ad Assisi. «Voglio mandarvi tutti in Paradiso», aveva dunque detto allora Francesco. E non a caso a Onorio aveva chiesto «non anni ma anime». C’è un impeto stupendo in queste parole del santo. Un impeto che dice di un amore e di un desiderio: un amore senza distinzioni per gli uomini e le donne che aveva di fronte – amore nei confronti dell’umano; e desiderio bruciante di poter spalancare a tutti la strada della felicità eterna.



Ma quell’impeto ci parla anche di una straordinaria confidenza con il Signore, che permette a Francesco di andare baldanzoso davanti ai cardinali che mugugnavano per la decisione di Onorio (temevano che l’indulgenza della Porziuncola sarebbe andata a danno di concessa sulla tomba degli apostoli o ai pellegrinaggi in Terrasanta). E gli permette di uscire da quella trattativa senza documento in mano: «Se è opera di Dio, tocca a Lui renderla manifesta».

Che fosse opera di Dio lo conferma oggi il fatto che a distanza di 800 anni ancora migliaia di persone affollano la Porziuncola e tra loro tantissimi sono giovani. Ma che sia opera di Dio lo attesta soprattutto l’aver messo al centro delle dinamiche umane, in modo assolutamente provvidenziale, l’esperienza del perdono, tanto da aver lasciato il segno nel nome: Perdono di Assisi.



Sul perdono il Papa ha imperniato tutto il suo intervento, facendone un momento chiave di questo Giubileo della Misericordia. «Il mondo ha bisogno di perdono; troppe persone vivono rinchiuse nel rancore e covano odio, perché incapaci di perdono, rovinando la vita propria e altrui piuttosto che trovare la gioia della serenità e della pace», ha detto. Il perdono non è semplice buona predisposizione verso l’altro, ma è innanzitutto coscienza di essere ciascuno destinatari di un continuo, instancabile perdono da parte di Dio: «Avete pensato alcune volte alla pazienza di Dio? Ha tanta pazienza. Sappiamo bene, infatti, che siamo pieni di difetti e ricadiamo spesso negli stessi peccati. Eppure, Dio non si stanca di offrire sempre il suo perdono ogni volta che lo chiediamo».

Come accadde al figliol prodigo che ancor prima di aver potuto iniziare a elencare i suoi peccati si trova abbracciato dal padre. Il perdono non è impegnativo, non è esito di una fatica. Ma è un abbandonarsi a quell’abbraccio. Per questo, ha detto il Papa il perdono «genera Paradiso»: quell’abbraccio infatti è già esperienza di Paradiso.