Hillary, Trump e Pinocchio

Pinocchio fa la parte del povero dilettante se lo paragoniamo ad un Trump e ad una Clinton, i due "grandi bugiardi" che vanno per la maggiore di questi tempi in America. RIRO MANISCALCO

NEW YORK — E’ dalla fine dell’800 che Collodi si impegna con i bambini di tutto il mondo cercando di far passare loro la cattiva abitudine di dir bugie. Bambini sì, ma non è che le bugie siano una questione da bambini e basta. E’ piuttosto evidente che Pinocchio fa la parte del povero dilettante se ad esempio lo paragoniamo ad un Donald Trump e ad una Hillary Clinton, i due “grandi bugiardi” che vanno per la maggiore di questi tempi in America. Forse anche costoro, afflitti dalla stessa incurabile patologia del burattino, non possono fare a meno di mentire a ripetizione, qualunque sia l’argomento: dichiarazioni dei redditi, condizioni di salute, pasticcio tra email private e segreti di Stato, imprese, enti, fondazioni create solo per dar copertura a losche manovre di tornaconto personale… Ma mentre il nostro Pinocchio le sparava a raffica senza concludere nulla, uno di quei due, Hillary o Donald si vedrà, tra un paio di mesi andrà ad abitare alla Casa Bianca chiamato a guidare e possibilmente rimettere in sesto quelli che stanno diventando gli Stati “poco Uniti” d’America. Vorrà dire che le sue bugie hanno pagato.

Allora mi chiedo, sarà tutta questione di chi le balle le racconta meglio?

Oscar Wilde, persona estremamente acuta ed anche piuttosto problematica, ne aveva sempre una per tutti. Ai politici avrebbe potuto passare questa: “You can’t win; If you tell lies people will distrust you. If you tell the truth people will dislike you“, ovvero, “Non c’è modo di vincere; se dici bugie la gente non si fiderà di te. Se racconti la verità non ti sopporteranno”. 

Bambini, politici, ma non solo. E’ sempre tempo di bugie e tutti le diciamo. 

Ognuno ha i suoi peccati preferiti — chiamateli pure dark sides o debolezze —, ognuno ha le sue priorità rispetto al trittico Usura-Lussuria-Potere di T.S. Eliot, ma sulla bugia ci siamo tutti. Chi più chi meno, ma ci siamo tutti. 

Abbiamo imparato a dirle da piccoli e nel tempo invece che liberarcene ci siamo perfezionati nel dosarle, calibrarle. Magari non sono false testimonianze da ottavo comandamento, saranno “white lies“, cose dette più per non ferire che altro, ma sono sempre li a suggerirci quella che sembra un’agile scappatoia. 

Eppure tutti — Clinton e Trump inclusi — sappiamo che le bugie hanno le gambe corte, che significa che fanno poca strada, hanno vita breve e prima o poi la verità salterà fuori costringendoci o ad una resa incondizionata ed umiliante o a costruzioni sempre più macchinose intese a salvarci la faccia. Ci siamo passati tutti. 

Ma è più facile mentire per nascondere i propri errori od ammetterli? 

E’ sempre una questione di rapporto con la realtà, con quel che ci accade, come trattiamo quel che ci circonda. “La realtà”, il nostro campo di battaglia quotidiano, dove si sfidano la verità che promette di renderci liberi e la menzogna che promette di nascondere le nostre manchevolezze. Nasconderle sia agli occhi del mondo che ai nostri stessi. Cosi, come Trump e Clinton, anche noi cominciamo a credere alle bugie che diciamo, anche noi costruiamo una realtà parallela al mondo vero. 

Come dice Dostoevskij ne I Fratelli Karamazov, “L’uomo che mente a se stesso ed ascolta le proprie bugie arriva al punto di non essere più capace di riconoscere la verità in sé ed intorno a sé, perdendo il rispetto sia verso se stesso che gli altri. E cosi smette di amare”. E’ questo il prezzo che si paga alla menzogna per i suoi servizi. 

Speriamo che ogni tanto possa capitarci di credere più nel miracolo del cambiamento che nella nostra capacità di manipolare le cose.

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