La recente canonizzazione di Madre Teresa, lungi da essere un fatto che interessa solo i credenti, se guardata con attenzione rappresenta invece una sfida a molti dei luoghi comuni tipici della mentalità dominante a livello globale. Ce ne siamo accorti nei giorni scorsi ed è per questo che vale la pena tornare a fare alcune riflessioni su questo evento. Fra tanto consenso e ammirazione stupita di cui siamo stati testimoni, i media di tutto il mondo hanno fatto a gara a tirare fuori dagli archivi ricerche, libri e articoli che avevano tutti un comun denominatore: denunciare che “Madre Teresa non era affatto una santa”.
E’ così tornato alla ribalta il libro dello scomparso Christopher Hitchens, “La posizione della missionaria” pubblicato originariamente nel 1995, dove, fra le altre cose, si sostiene che la suora amasse usare i soldi ottenuti con la beneficenza per aprire conventi invece che ospedali, propagandando il no all’aborto, ai rapporti pre matrimoniali e all’uso dei preservativi, muovendosi così in modo strumentale al potere politico e teologico della Chiesa cattolica.
Altri articoli denunciavano la carenza delle sue strutture, la mancanza dei requisiti igienici e medici fondamentali, in un’ottica seconda la quale si sarebbe esaltata la sofferenza anziché combatterla.
La prima cosa che viene in mente, di fronte a questa incapacità di comprendere il significato reale della missione di Madre Teresa, è l’attualità di quanto scrisse Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est e cioè che “la carità sarà sempre necessaria”.
Frase che va in netto contrasto con quella tanto amata dalle ideologie del XIX e XX secolo, liberismo e comunismo: “Non serve la carità ci vuole la giustizia”.
Da una parte si disprezzava la carità, alla radice dell’insegnamento della Chiesa, perché si affermava che solo il progresso economico poteva emancipare l’umanità dalla fame, dalla malattia, dal sottosviluppo. Dall’altra si considerava ipocrita o addirittura dannoso aiutare gli uomini nei loro bisogni immediati perché distraeva dal tentativo di costruire strutture più giuste e durature per tutti.
Intendiamoci: non è che il richiamo a progresso e giustizia sociale sia sbagliato. Pensiamo alla enciclica Populorum Progressio, “Il nuovo nome della pace è lo sviluppo”, di Paolo VI, o ai continui appelli dei pontefici, in particolare papa Francesco, affinché le strutture economiche, sociali, politiche non opprimano il povero, il debole, il malato, l’emarginato. Ma cosa sono il progresso e la lotta per la giustizia senza la pratica della carità? Le innumerevoli opere presenti in tutto il mondo, nel solco tracciato da Madre Teresa, continuano a permettere a milioni di persone di affrontare l’esistenza e anche la morte nel pieno rispetto della loro dignità umana.
Lasciati dove erano, in attesa del progresso e della giustizia sociale, queste persone sarebbero vissute e morte da bestie. Non esisterà mai un regime politico in grado di eliminare totalmente la povertà, ci saranno sempre degli ultimi in mezzo a noi a cui guardare e da sostenere. Allo stesso tempo, Madre Teresa non aveva mai inteso risolvere tutti i mali del mondo ed era cosciente dei propri limiti.
Lasciati dove erano, in attesa del progresso e della giustizia sociale, queste persone sarebbero vissute e morte da bestie. Non esisterà mai un regime politico in grado di eliminare totalmente la povertà, ci saranno sempre degli ultimi in mezzo a noi a cui guardare e da sostenere. Allo stesso tempo, Madre Teresa non aveva mai inteso risolvere tutti i mali del mondo ed era cosciente dei propri limiti. Ma non per questo è rimasta a guardare, andando in persona là, nelle strade e in mezzo ai moribondi, o offrendo di prendersi cura dei bambini che altrimenti sarebbero stati abortiti. In una parola, ha condiviso il dolore di chiunque, accogliendo e promuovendo la vita. La carità batte tutte le dottrine economiche e politiche, perché essa è un gesto immediato.
Se non si vive la carità, se non ci si accorge della gente gente intorno a noi, lo sbandierato progresso può diventare una trappola mortale. Abbiamo davanti, agli occhi anche se fingiamo di non accorgercene, le conseguenze del neocolonialismo economico, quello che ha scatenato “la terza guerra mondiale a pezzi”: muri per tenere lontano chi fugge dalla violenza e dalla povertà, élite di pochi ricchi sempre più ricchi, fallimento rovinoso di utopie come quella che ha fatto diventare il Venezuela, un tempo tra le nazioni più ricche del Sudamerica, un paese devastato dalla fame e dalla povertà.
Senza la carità ogni progetto politico diventa contro la gente, non per la gente.
L’esempio di Madre Teresa rappresenta infine un’altra sfida, ancora più radicale. C’è una mentalità, suffragata anche da certo moralismo cattolico, che pensa che occuparsi degli altri sia un problema etico: dobbiamo fare del bene perché è giusto essere buoni. Non basta però per spiegare l’impegno eroico delle suore di Madre Teresa, un impegno capace di trattare gli ultimi fra gli ultimi con una affezione totale.
Come si fa ad amare così?
Qualche anno fa un amico giornalista, dopo aver assistito a un incontro pubblico di Madre Teresa, colpito da quello che aveva sentito, le si avvicinò e le chiese a bruciapelo: “Ma che cosa le ha fatto mettere in piedi tutto quello che lei ha messo su?”. Racconta l’amico giornalista che la piccola suora lo guardò un po’ infastidita e rispose, indicando la gente che era lì presente: “Per me le persone sono tutte ombre di Gesù”. E’ una risposta comprensibile non solo ai cattolici e ai cristiani di altre confessioni ma anche agli islamici, agli indù, agli atei. L’altro è un bene per me: è un Mistero sempre grande, sempre bello qualunque sia il corpo che lo porti, o qualunque sia l’incoerenza con cui viviamo. Perché è riflesso di quell’Infinito di cui tutti gli uomini di tutti i tempi e tutte le culture hanno bisogno per vivere, per amare, per essere felici. La carità aiuta a vivere quella corrispondenza al cuore che tutti desideriamo. In un momento storico in cui si teorizza l’impossibilità di convivenza fra culture e religioni diverse, Madre Teresa ci sfida a vivere la carità, unica a permettere una vera convivenza e con essa la pace, perché la carità non è una dottrina, è l’inizio di una nuova civiltà.