La premessa fu compito della Madre annunciarla al mondo, appena dopo la grande Annunciazione a lei. Era così d’intrigo quel rovesciamento, che si fece addirittura canto, nel Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,52).
Pochi, allora, s’accorsero ch’era la premessa paradossale della storia più ambiziosa. Il Figlio, quando decise col Padre di rimettere mano al mondo, ripartì da quella premessa e la fece diventare una promessa. Per dire al mondo che così ragiona il Padre, proprio come annunciò la Madre. Disse — e lo disse a modo suo, appellandosi alla maestria d’una parabola — che il Pater noster era un Dio politicamente-scorretto, sfrontatamente schierato. Che lascia senza nome i ricchi — “C’era un uomo ricco che ogni giorno si dava a lauti banchetti” —, mentre i poveri li chiama per nome: “Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco” (Lc 16,19-31).
Lazzaro è il nome dell’amico suo: l’alloggio di Betania, il confidente delle serate trascorse assieme, la carne-resuscitata. I poveri, nel cuore di Cristo, hanno tutti nome Lazzaro, il nome della sua amicizia prediletta: “Prediligere non vuol dire amare di più, amare di meno — scrisse don Primo Mazzolari —, ma amare secondo una regola o un criterio, non di maggior merito, ma di maggior bisogno”. Una vecchia premessa, una nuova promessa.
Il tempo, nei Vangeli, è un qualcosa che non passa mai. Il tempo resta, è l’uomo che passa: “Un giorno il povero morì. Morì anche il ricco e fu sepolto“. Il tempo è sempre puntuale nel farci capire molte cose in evidente ritardo. Una su tutte: che la premessa — il mondo finirà gambe all’aria — muterà in promessa, la promessa verrà mantenuta. Il ricco a capitolare giù negli inferi, Lazzaro dritto in seno ad Abramo. Con l’altro a rimpiangere: Abbi pietà di me, toccami con un dito che ardo, manda qualcuno a casa ad avvisare. Rimpiangere il tempo sprecato, nei Vangeli è tempo sprecato: quell’abisso che sta nel frammezzo — “Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso” — era il medesimo che c’era in vita tra il ricco e il povero.
Quell’abisso, che arreca così grande affanno, rimane: non è stato Dio a crearlo, nemmeno a volerlo. Dunque rimane. Ciò che sarà di noi nell’eternità, è ciò che stiamo scegliendo ora, nel mezzo di questa dannata-vita: “Quando si lotta contro il momento presente, in realtà si lotta contro l’intero universo” (D. Chopra). Forse qualcuno ci avrà catechizzato il contrario: “Attento che andrai all’inferno!”. La verità, invece, è una questione declinata al tempo presente, non al futuro: all’Inferno non si andrà nel giorno di domani, si deciderà oggi se andarci o meno, se starci oppure meno. Il tempo degli ultimi richiami, di fronte alla mala-libertà, sarà inutile e Dio non sprecherà più tempo: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro“. Certi sordi, però, non voglion affatto ascoltare.
Una storiella per terrorizzare i ricchi? — Attenzione che se non buttate via i soldi andrete tutti laggiù? Un pretesto per tenere a bada i poveri? — Pazientate, un giorno faremo la rivincita e li manderemo gambe all’aria?
A fregare il ricco fu il menefreghismo, mica la ricchezza: Cristo, a conti fatti, teneva degli amici come Giuseppe d’Arimatea che eran ricchi-sfondati. A salvare il povero, non fu la voglia di rivincita: a salvarlo fu la sua strenua certezza che Dio era affidabile, che la premessa sarebbe divenuta promessa, una promessa-mantenuta. E’ una storia, dunque, per chi è ricco e per chi è povero, per chi sta dalla parte di Dio e chi di Lucifero, per chi nasce dritto e per chi nasce storto. Una segnaletica che, quaggiù, avvisa di lavori-in-corso: “Fate attenzione, gli umani stanno decidendo cosa sarà di loro domattina. Non distraeteli”. Aiutateli: “Alice: ‘Per quanto tempo è per sempre? Bianconiglio: ‘A volte, solo un secondo'” (L. Carrol). Ogni secondo dura un’iradiddio di tempo: in esso, gente, ci stiamo giocando l’Eterno.
Questa è la storia del Dio politicamente-scorretto. Schierato coi poveri: mai abbiamo avuto così poco tempo per fare così tanto. Per decidere oggi, nell’effimero, cosa sarà di noi: nell’eterno. Per sempre.