Uno dei segni distintivi di Papa Francesco è la capacità di leggere i Vangeli. Tutti ovviamente sappiamo leggerli e magari li leggiamo anche. Ma in genere ci mettiamo davanti a quei testi come se già li “sapessimo”. Così ci sfuggono dettagli e soprattutto ci sfuggono le risonanze con l’oggi. Francesco invece si addentra con molta semplicità tra quelle pagine, e ogni volta sembra scoprire e stupirsi di come aderiscono a quel che noi stiamo vivendo. Li legge non come fossero storia, ma come se, nel succedersi delle parole, stessero accadendo ora.



Così è successo ieri in occasione dell’Udienza, quando si è trovato a commentare la pagina di San Luca dei due malfattori crocifissi con Gesù, il cattivo e il buon ladrone. I due, sottolinea Francesco, si rivolgono a Gesù con atteggiamento opposto. Il primo ad entrare in scena è quello cattivo, che non accetta il suo destino e si rivolge quasi con rabbia a Cristo. “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”, gli dice. Francesco non schematizza facendone un’incarnazione del male. Entrando tra le righe della narrazione coglie il fatto che il perdono era pronto anche per lui. Gesù infatti ha appena detto: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Ma il problema del cattivo ladrone, come degli altri che sotto la croce insultano Cristo, è che non si capacita che “il Messia, l’inviato di Dio, possa stare sulla croce senza far nulla per salvarsi”. Aggiunge poi Francesco, quelli come il ladrone “non capivano, questo. Non capivano il mistero del sacrificio di Gesù. E invece Gesù ci ha salvati rimanendo sulla croce… lì ci ha mostrato la sua onnipotenza e lì ci ha perdonati”.



Poi entra in scena il buon ladrone, di cui la tradizione ci tramanda anche il nome, Disma. Ed entra in scena interloquendo con il suo “collega”. “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?”, gli dice. Sottile e stupenda la notazione del papa a proposito di questo versetto. Il buon ladrone “pone in risalto il punto di partenza del pentimento: il timore di Dio. Ma non la paura di Dio, no: il timore filiale di Dio. Non è la paura, ma quel rispetto che si deve a Dio perché Lui è Dio… È questo rispetto fiducioso che aiuta a fare spazio a Dio e ad affidarsi alla sua misericordia”. È in virtù di questo timore che il buon ladrone confessa la propria colpa e dichiara l’innocenza di Gesù. “Guardando Gesù si pente e accede alla fede. “Guardando Gesù così buono e misericordioso è riuscito a rubarsi il cielo: è un bravo ladro, questo!”, nota con un tocco di spirito il Papa. 



Ed è a questo punto che Francesco fa due sottolineature, di quelle che restano impresse nel cuore di una persona. Nota innanzitutto che mentre il buon ladrone parla al futuro (“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”), Gesù sposta tutto al presente (“Oggi sarai con me in Paradiso”), perché, nota sempre Francesco, “la sua promessa è un compimento”. Un “qui e ora”. Non sposta in là, non rinvia. Attua subito la parola.

L’altra sottolineatura è ancora più toccante. Francesco nota che il buon ladrone chiama Gesù per nome. “Lo chiama per nome, ‘Gesù’, con confidenza”. E ripete ancora nelle ultime parole dell’Udienza: “E il buon ladrone lo ha chiamato per nome: ‘Gesù'”. Una cosa semplice. La più semplice che si possa immaginare: avere stabilito, in un istante, un rapporto tale di familiarità, e anche di libertà, con quell’uomo sulla croce da chiamarlo per nome. Come se lo conoscesse da sempre. Invece è accaduto tutto lì, in quell’istante. Non c’è nulla che dia l’idea della semplicità del cristianesimo come quel chiamare per nome, quasi rivolgendosi a qualcuno così amico a cui si può chiedere tutto. Anche di portarci in Paradiso. “È una invocazione breve, e tutti noi possiamo farla durante la giornata tante volte: ‘Gesù’. ‘Gesù’, semplicemente. E così fatela durante tutta la giornata”, ha concluso Francesco. Impossibile non essergli grati di questo suggerimento.