La ripresa

Riprendere l'attività usuale, dopo il periodo delle vacanze, porta con sé un indefinito sentore di insoddisfazione e di fatica. Si tratta solo di essere pellegrini. PIGI COLOGNESI

Riprendere l’attività usuale, dopo il periodo delle vacanze, porta con sé un indefinito sentore di insoddisfazione e di fatica. Come quando si ricomincia ad utilizzare un arto che si era intorpidito o addirittura bloccato. In me adesso, ad esempio, che mi ritrovo davanti al computer per scrivere l’editoriale settimanale, da qualche giorno si agitano domande che documentano quel sentore: di che cosa parlerò? ma ne vale la pena? riuscirò ad evitare di dire sciocchezze? a che serve? Proprio mentre — avvicinandosi la scadenza di consegna delle mie tremila battute — quel tipo di domande sta raggiungendo il culmine di intensità, mi arriva questo messaggio sul telefonino: “Abbiamo pregato per te verso Chartres. Abbiamo a lungo camminato”. È di due intrepidi amici che, sulle orme di Charles Péguy, hanno fatto il pellegrinaggio a piedi da Parigi alla splendida cattedrale dalla “guglia inimitabile”. Me l’avevano detto prima di partire che si sarebbero imbarcati in questa avventura, che è all’opposto delle spericolate bravate “estreme” che si leggono sui giornali: si tratta solo di camminare per un po’ di giorni verso una meta desiderata. Si tratta solo di essere pellegrini.

Leggendo il messaggio dei due pellegrini anzitutto è arrivata la gratitudine perché mi hanno ricordato nella preghiera ed immediatamente dopo la sorpresa di trovare proprio nel loro gesto il chiarimento liberante del disagio di cui parlavo all’inizio. Cerco di spiegare perché.

Pellegrino deriva dal latino peregrinus, che indica lo straniero, il forestiero, quello che va in paesi che non sono la sua patria. Nei secoli, peregrinus per antonomasia è diventato colui che lascia la sua casa e si reca in un luogo dove le tracce del divino (le reliquie di un santo, un’apparizione, un’immagine miracolosa) sono più chiare, cioè più direttamente rimandano alla patria vera. Il pellegrino, insomma, afferma col suo stesso muoversi che la sua patria non è la città in cui vive, i rapporti usuali che ha, il lavoro che vi compie, il ritmo solito di impegni ed attività, ma un’altra, finalmente autentica. Ecco: il cambiamento di passo tra la vacanza ed il lavoro ci procura un po’ di disagio perché — come ogni cambiamento — ci costringe ad ammettere che tutto il nostro affannarci non ci dà il calore della patria che cerchiamo.

Ma il pellegrino ritorna a casa: nemmeno Chartres è la sua patria, ma un suo glorioso segno. Averla desiderata lungo il cammino, aver temuto che non ce la si sarebbe mai fatta a raggiungerla, aver avuto dubbi sulla sensatezza di cercarla e poi averla finalmente contemplata, aiuta a scoprire che il quotidiano banale è anch’esso, a suo modo, segno della patria gloriosa. E allora ogni risveglio — cambiamento di posizione dal riposo del sonno al ritmo del lavoro (come il rientro lo è rispetto alla vacanza) — è incominciare il micro-pellegrinaggio di ogni giorno, il pezzettino di strada che ci tocca fare nella direzione affascinante della patria dove “Ciò che dappertutto e altrove sarebbe un duro sforzo / qui non è che semplicità e quiete” (Péguy).

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