Le sfide pronte per la politica

<!-- p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 12.0px 'Times New Roman'; -webkit-text-stroke: #000000} span.s1 {font-kerning: none} --> La Spagna vive un momento relativamente tranquillo a livello politico. Ma questo di certo non basta, spiega FERNANDO DE HARO: ci sono sfide che non possono essere eluse

Sembra che sia arrivata la quiete dopo la tempesta. La Spagna affronta un 2017 relativamente tranquillo in politica, certamente più di Francia, Germania e Olanda, dove le elezioni pongono molti interrogativi. La maggior incertezza all’orizzonte, non proprio insignificante, riguarda il processo di secessione della Catalogna. L’ultimo Barometro del Cis, il sondaggio pubblico più importante, mostra che negli spagnoli l’immagine della politica è migliorata di 7,8 punti. Rajoy, nel suo messaggio di fine anno, ha detto di voler arrivare a fine legislatura. Ha teso la mano all’alleato di governo, Ciudadanos, e al principale partito di opposizione, Psoe. I socialisti hanno risposto con un doppio linguaggio che ormai usano da quando hanno mandato via l’ultimo Segretario generale, Pedro Sánchez. Hanno criticato le politiche del Governo e hanno confermato di voler continuare a seguire la linea mantenuta negli ultimi mesi. Qualcosa di simile alla “grande coalizione”, che tanto è stata cercata nel 2016, funziona in Spagna da quando i socialisti hanno consentito l’investitura di Rajoy con la loro astensione.

I socialisti, visti il peggior risultato elettorale della loro storia, una crisi interna che dura da troppo tempo e la minaccia di diventare il terzo partito dopo Podemos, hanno deciso di guadagnare tempo e di venire a patti. Così da farsi valere, per poter gonfiare il petto davanti ai propri elettori e dimostrare che contano, non come i loro i rivali, la sinistra rumorosa e utopica di Podemos, che si perde nelle sale del Congresso.

Il Psoe vuole un patto, Rajoy anche. Si è scordato delle sue minacce di un voto a maggio (i sondaggi continuano a dargli risultati migliori rispetto alle ultime elezioni). Gli accordi con i socialisti gli consentono di dare stabilità al Governo e ridurre all’insignificanza Ciudadanos, in teoria suo alleato, ma anche primo concorrente, dato che gli ha strappato diversi elettori. La volontà di Rajoy di accordarsi con i socialisti ha fatto sì che i dogmi della precedente legislatura siano spariti. Per accordarsi sul deficit, ha accettato di aumentare il salario minimo. I popolari sono disposti a finanziare parte delle pensioni con le tasse, così come chiedevano i socialisti. Non è da escludere che il Psoe consenta l’approvazione dei conti pubblici per il 2017 in cambio di concessioni che il Governo del Pp finora considerava impossibili.

L’andamento dell’economia consente questa “politica di accordi”. Il 2016 si è chiuso con una crescita al di sopra del 3% e le previsioni per il 2017, sebbene segnalino un rallentamento, sono positive. L’occupazione aumenta di circa 400.000 unità l’anno ed è possibile che nel 2020 il tasso di disoccupazione torni ai livelli pre-crisi. L’obiettivo di ridurre il deficit dovrebbe essere raggiunto senza grandi sforzi e senza tagli importanti, tranne forse una rivisitazione dell’Iva.

Alla “pace economica” bisognare aggiungere il pragmatismo di Rajoy. Il Pp ha già rinunciato alla legge sull’istruzione approvata nella scorsa legislatura, una legge di cui non può andare particolarmente fiero. E sarà sicuramente disposto a fare lo stesso con la legge sulla sicurezza pubblica, già criticata dal centrosinistra, che probabilmente sarà rivista.

L’immagine di questa specie di tavola piatta in cui si è trasformata la politica spagnola è completata dalla scarsa preoccupazione per l’immigrazione e dalla mancanza, almeno per il momento, del populismo di sinistra di Podemos. La minaccia xenofoba è ancora lontana: solamente il 7% degli spagnoli è preoccupato dagli stranieri. E il modello di integrazione, che consiste nel non aver alcun modello, funziona. Senza populismo di destra, l’utopia del partito viola ora ristagna in una forte lotta interna. 

Tutti contenti? Rajoy è riuscito con il suo particolare modo di governare a ottenere la massima pacificazione possibile in tempi così difficili? Forse. Del resto il ritorno dei socialisti a una posizione più socialdemocratica ha permesso, per il momento, il ritorno a una certa quiete politica. Facilitata da uno spazio condiviso negli aspetti più tecnocratici di gestione della cosa pubblica. Tuttavia sotto le acque tranquille le correnti restano agitate. Il Barometro del Cis mostra anche le profonde ferite lasciate dell’anno senza Governo: il 67% degli spagnoli ha ancora una visione negativa della situazione politica. Non c’è da meravigliarsi: aver ottenuto la governabilità è importante, ma non significa che si sia restaurato un certo dibattito nazionale più urgente che mai.

Il relativo contenimento di Podemos non significa che l’inquietudine e l’insoddisfazione che la democrazia genera nel 78% dei giovani siano scomparse. I sondaggi mostrano che resta alta la preoccupazione per la corruzione. Un Governo aiutato dalle necessità dei socialisti e dalla resistenza di Rajoy non risolve automaticamente la grande sfida pendente: attualizzare, per renderlo significativo per le nuove generazioni, il modo con cui la Spagna si è “rifondata” durante la Transizione. Una certa situazione positiva per l’economia non risolve tutte le sfide che comporta un cambiamento del modello produttivo e un miglioramento urgente dell’istruzione. La gestione non sostituisce un dibattito sulla sostenibilità energetica, sui servizi pubblici, sul sistema previdenziale, sulla crescente irrilevanza internazionale, sull’impotenza demografica, ecc. Tutto questo richiede di superare schemi ideologici e abitudini nelle conversazioni.

I negoziati per una nuova legge sull’istruzione saranno un buon termometro per misurare la temperatura del dialogo, al momento bassa, oltre i numeri. Per troppo tempo abbiamo sostenuto molte cose senza sapere formulare davanti a noi stessi e agli altri le ragioni e le esperienze su cui si fondano.

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