Il rilascio della “tessera n.1” nel programma di “adempimento collaborativo” da parte dell’Agenzia delle Entrate al gruppo Ferrero è certamente una notizia. E’ una “buona notizia”, per ora, solo per un numero di contribuenti contati sulle dita di una mano o due: le multinazionali con fatturato superiore ai 10 miliardi. Con questi super-generatori di imponibile e di gettito, il Fisco ritiene utile comunicare – dialogare, confrontarsi – non più solo a colpi di dichiarazioni periodiche ma diverse ogni anno nei riquadri; lente risposte burocratiche a ponderosi pareri di studi legali; ricorsi e controricorsi; rimborsi incerti o tardivi e sanzioni inutilmente salate.
La cooperative compliance punta a stabilire un rapporto più moderno, più win win fra Stato e (grandi) imprenditori. Flussi di informazioni più continui, dettagliati, aperti nei due sensi hanno come obiettivo un processo di tassazione più efficiente, corretto, sicuro per entrambe le parti. La categoria dell’equità scende dall’astratezza legalistica o tecnocratica e recupera concretezza economica e sociale in chiave di fiducia nel rapporto fra diversi attori. Gli obiettivi politico-economici sono evidenti e non da poco: meno oneri impropri sia per le aziende che per l’amministrazione tributaria; meno evasione fiscale (compresa quella indotta da normative fiscali difficili da usare) e meno rischi fiscali per le imprese.
Il progetto pilota italiano è stato lanciato nel 2013 su una piattaforma elementare: corsia preferenziale sull’acquisizione di pareri, eliminazione delle garanzie per i rimborsi e ipotesi (ancora da definire) dii riduzione di alcune sanzioni. La via di una voluntary disclosure normalizzata ed estesa sul terreno della fiscalità ordinaria – con livelli di protezione anche sul versante penale – rimane ovviamente tutta da sviluppare. Le Entrate, in ogni caso, contano di assegnare altre “tessere” nel corso dell’anno e il passo successivo è però già disegnato: la graduale estensione del programma ai contribuenti imprenditoriali con fatturato superiore ai 100 milioni.
Tremila soggetti stimati: lo 0,1% dei contribuenti “imprenditoriali” italiani. Eppure quello dell’adempimento collaborativo è un “discorso fiscale” da tenere d’occhio e da non lasciar perdere: anche perché in realtà va a connotare un movimento a pendolo di lungo periodo. E’ stata la riforma Visentini del 1984 a burocratizzare il rapporto fra Fisco e contribuenti: con pretese di certezza-trasparenza-efficienza dell’azione tributaria verso un sistema-Paese che si andava imprenditorializzando, internazionalizzando, finanziarizzando. Oltre trent’anni dopo Il Sole 24 Ore avvertiva nei giorni scorsi i contribuenti italiani che nel 2017 sono attesi da mille scadenze fiscali, 102 solo in gennaio, più di tre al giorno, con molti rimescolamenti di obblighi e date rispetto all’anno scorso. La “pressione fiscale” – scesa di soli due decimi percentuali e ancora superiore al 40% – è anche questa: forse più di quanto non sembri, soprattutto sul 99,9% delle partite Iva “non grandi”.
A oltre otto anni dal crack Lehman Brothers, la fiducia è ancora la risorsa mancante alla stabilizzazione dei mercati finanziari. La loro crisi perdurante è figlia di un altro Big Bang degli anni ’80: della pretesa illuministica e tecnocratica che le regole e le macchine – il più possibile standardizzate su scala globale – potessero sostituire la fiducia nei rapporti (economici) fra le persone. Ora è stato deciso il rinvio di un anno di “Basilea 4” : the next thing nelle regole della globalizzazione finanziaria.: si vedrà. Ma senza fiducia fra le persone, le loro organizzazioni economiche e le loro istituzioni nessuna ripartenza appare realmente possibile. E sarà un caso, ma la “cooperative compliance” fiscale in Italia parte – bene – con il marchio un vero gruppo del Made in Italy.