Io non lo conoscevo, ma l’ho visto. Giovanni il Battista, ancora protagonista della liturgia nella II domenica del tempo ordinario del rito romano, spiazza tutti con la sua testimonianza. Una testimonianza che ammette che nella vita, dentro la vita, ci possa essere qualcosa di nuovo. Davanti ad un tumore o alla fine di un matrimonio, davanti ad una situazione che si trascina da anni, come davanti ad una vita che ti sembra che “vada bene così”, la difficoltà è proprio ammettere — anzi scorgere — qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso.
Viviamo l’esistenza prigionieri del nostro racconto, pervasi dalle nostre impressioni, impreparati a essere seriamente sorpresi. La più grande iattura per un uomo, infatti, non è il dolore, ma l’avere smesso di attendere. Giovanni il Battista vede qualcosa che eccede la sua misura e lo riconosce con semplicità e autenticità. Il punto è che è nella natura della realtà disturbarci, spostarci, metterci in discussione. Il tempo che passa, le cose che succedono, non sono nostre nemiche, ma potenti alleati per capire di più di che cosa ha davvero bisogno il nostro cuore.
Così i mutamenti della nostra epoca, le ideologie, il male degli uomini o gli sconvolgimenti culturali dei nostri paradigmi non sono “arginabili”, perché non esiste un mondo fermo, una società ferma, un’esistenza che non cambi, ma esiste la delicatissima possibilità che si nasconde in ogni cosa e che ci è data per fare un passo, per camminare. Il segreto di Giovanni il Battista è la sua povertà, il suo non avere nulla da difendere, se non la disponibilità estrema — ultima — ad abbracciare quello che aveva dinnanzi agli occhi. Ci vuole un grande amore alla propria vita per essere così umili, ci vuole la consapevolezza che la Verità è qualcosa che ci precede e non che si possiede per smettere di essere zeloti, lottatori incalliti alla ricerca di un nemico, e diventare discepoli.
Però, e questo non è scontato, tutto inizia con un bene che sperimentiamo nella vita: una posizione culturale libera, non invasa da schemi o da preconcetti, sgomberata dalle nostalgie, non sorge per una decisione etica o per un ragionamento intellettuale, ma accade per l’imporsi di una Presenza, di qualcosa di Presente che è più forte di ogni passato, di ogni “già vissuto” o “già saputo”. L’augurio più grande è quello di ricevere la Grazia di ricominciare, proprio come ha ricominciato Giovanni il Battista, che è ripartito quando già era un “capo”, quando già “aveva ben in testa come dovessero andare le cose”. E questo è successo perché non ha smesso di essere curioso, ma ha chiesto, ha guardato, ha trafficato sempre di più.
Che ciascuno di noi possa tornare ad essere curioso della propria moglie, del proprio marito, dei propri figli, dei propri amici, di chi ci odia, di chi commette il male, di chi lotta e urla dentro questo nostro tempo malato e violento. Che questa curiosità possa incontrare la gentilezza della nostra attesa e fiorire, come nel cuore di Giovanni il Battista, allo stesso modo in cui fiorisce un’inaudita certezza. Io non lo conoscevo, ma l’ho visto. E non posso più tornare a casa ed essere quello di prima, pensare le cose di prima, dire le cose di prima. Lasciamoci cambiare da Colui che passa, dall’Agnello di Dio che vibra nel volto arrabbiato e confuso degli uomini del nostro tempo. Non temiamo di vedere che cosa si nasconde al termine del nostro viaggio. La vita non è fatta per essere consumata o divorata dalle nostre idee, la vita è fatta perché noi possiamo attraversarla, perché noi possiamo sempre maturare, ricomprendere, crescere. Un uomo rinasce quando si lascia incontrare e sconvolgere da quello che c’è. È questa la misteriosa e appassionante via di Giovanni il Battista.