La sfida ai nuovi imperatori

<!-- p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 12.0px 'Times New Roman'; -webkit-text-stroke: #000000} span.s1 {font-kerning: none} --> Quello di Donald Trump, dice FERNANDO DE HARO, è stato un discorso religioso. E c'è il serio pericolo di una sacralizzazione del potere cui occorre rispondere in un modo nuovo

È stato un discorso religioso. In realtà, tutti i discorsi dei neo presidenti americani lo sono in un modo o nell’altro. Ma questo lo è stato in maniera particolare. Non solo per la presenza della Bibbia di Lincoln e di quella avuta in regalo dalla madre. Non solo per le preghiere e i riferimenti a Dio. Lo è stato perché il 45° Presidente degli Stati Uniti offre il nazionalismo come risposta al desiderio di uscire dal nulla, quel nulla in cui si sentono molti di quelli che l’hanno votato. “Dico a tutti gli americani, in tutte le città vicine e lontane, piccole e grandi, in montagna o sull’Oceano, di ascoltare queste parole: non tornerete a essere ignorati”, ha detto il nuovo inquilino della Casa Bianca. 

Nella terra in cui forse si legge più che altrove la Bibbia, molti americani hanno rapidamente identificato in queste parole un’attualizzazione delle promesse del grande profeta dell’Antico Testamento. Nessuno ti chiamerà più abbandonata, né la tua terra -sarà più detta devastata, ma tu sarai chiamata mio compiacimento e la tua terra, sposata.

Il fatto che sia stato un discorso religioso non significa necessariamente che sia stato positivo. Le vecchie religioni, quelle che non distinguevano quel che si doveva dare a Cesare da quel che si doveva dare a Dio, sono finite e finiscono sempre nell’idolatria dell’imperatore. In questi tempi dominati dalla paura della globalizzazione torna la vecchia sacralizzazione del potere. Finora il Trump Presidente continua a essere come il Trump candidato. Sa bene qual è la sua base. È stato eletto grazie alla frustrazione di gran parte della classe media bianca. Una frustrazione non solo economica, ma antropologica: quella di una solitudine così feroce come quella che può generarsi negli Usa. Tra i bianchi i tassi di suicidi, alcolismo e uso di droghe sono cresciuti in modo significativo. Non si può vivere per tanto tempo ignorati dalle élite e, soprattutto, dal destino.

La democrazia degli Stati Uniti non è mai stata laica, almeno come la intendiamo noi in Europa. Ma c’è da fare una distinzione. Un conto è il desiderio di costruire la città sulla collina dei Padri fondatori. Altra cosa è il ciclo di sacralizzazione del potere iniziato dopo la rielezione di Bush e che ora torna con Trump. Con Bush sono arrivati alla Casa Bianca i teocon, intellettuali provenienti dalla sinistra che volevano fermare il relativismo e difendere i valori occidentali con una solida teologia politica. Obama è stata una reazione e come tale assomigliava a quello contro cui si opponeva (al movimento anti-Trump potrebbe accadere la stessa cosa: assomiglia troppo a Trump, come l’anti-fascismo assomigliava al fascismo). Il primo Presidente nero degli Stati Uniti è stato accompagnato da un messianismo volontaristico riassunto dal “Yes, we can”. La politica fatta in un altro modo, buona per la gente. 

La parola gente è forse quella usata più volte da Trump nel suo primo discorso da Presidente. La gente contro i politici, la gente che, finalmente, esce dal nulla. Il ciclo delle presidenze “religiose” negli Stati Uniti, molto diverse dalle presidenze pragmatiche di Reagan, del primo Bush e di Clinton, è senza dubbio un segno dei tempi. Non c’è chi sopporti nella vita quotidiana il nichilismo post-moderno e il vuoto favorisce lo spostamento della sacralità. Il desiderio di non essere ignorati è irrefrenabile, ha bisogno di una risposta, anche se parziale.

Il fenomeno non è limitato ai nazionalismi e ai populismi, ma ha altre versioni. Una è la sacralizzazione dei diritti soggettivi. I nuovi diritti, specialmente nelle questioni di genere, come questi nuovi leader politici che tanto ci spaventano, nascono dall’umanissimo desiderio di uscire dal nulla: sono figli della necessità affettiva, del bisogno che la differenza – reale o indotta – sia riconosciuta. È evidente che, in un caso come nell’altro, c’è un potere e un’ideologia che strumentalizzano. Ma la sacralizzazione del potere non funzionerebbe senza questa energia potentissima che cerca di uscire dall’ombra, dal terreno dove uno è o si sente ignorato.

Se il cuore della risposta a questa nuova sacralizzazione del potere è l’analisi, la denuncia o la costruzione di nuovi sistemi di idee veritiere, non serve a nulla. In un certo senso è inutile andare contro l’ideologia di genere o contro il nazionalismo populista. Certamente dovremo denunciare i suoi abusi, esigere il rispetto della libertà che viene limitata, pensare più che mai per trovare idee più autentiche. Ma tutto questo sarò condannato al più netto dei fallimenti se non sarà sostenuto e supportato da uno spazio differente. Lo spazio che apre il non andare contro l’ideologia ma verso un umanissimo desiderio di non essere ignorato. 

Non è la stessa cosa. Andare verso il desiderio di non essere ignorato è più faticoso. Richiede fatti più che parole, richiede uomini e donne che abbiano l’esperienza di non essere stati abbandonati. Solamente questa esperienza evita la sacralizzazione di nuovi idoli e sfida i nuovi imperatori.

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