Alitalia si avvia ad ammainare l’ultimo scampolo della propria bandiera? Oppure c’è ancora qualche pista d’atterraggio – possibilmente non traumatico – per una compagnia nazionale italiana?
Il vertice Alitalia ha preso atto di un’ennesima perdita netta di 378 milioni, senza prospettive di ritorno all’utile prima del 2019. Il socio-partner emiratino Ethiad respinge le accuse di scarsa efficacia manageriale e lamenta poco supporto dal governo: soprattutto su rotte interne e aeroporti. I sindacati sono naturalmente sul piede di guerra, mentre le grandi banche (UniCredit e Intesa Sanpaolo) restano caute prima di rinnovare i finanziamenti. Attendono un piano vero e non solo l’indiscrezione di un taglio straordinario di costi, di incerta realizzazione.
Dopo la lunga alleanza a bassa intensità” con Air France-Klm, dopo il salvataggio-ponte dei “capitali coraggiosi” coordinati dalla stessa Intesa, dopo l’ingresso di Ethiad che sembrava risolutivo Alitalia è di nuovo in piena turbolenza. Le opzioni possibili restano quelle di sempre: una ri-nazionalizzazione (forse con l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti), l’ingresso di un nuovo partner (si fa il nome di Lufthansa, forse inizialmente in affiancamento a Ethiad); oppure – ovviamente – esiti più bruschi. Le parabole recenti di alcune compagnie di bandiera europee offrono tuttavia qualche caso di studio interessante.
L’11 settembre 2001 travolse la belga Sabena e – più’ inaspettatamente – l’elvetica Swissair. Entrambe, un mattino, fermarono gli aerei nei propri hub: le compagnie erano state dichiarate fallite. In ambedue i casi, la ripartenza immediata fu la creazione di una società nuova per rilevare aerei, personale e altri asset: in discontinuità col passato anche se sotto la sorveglianza dei governi. Quindici anni dopo, in ogni caso, le due compagnie sono province dell’impero tedesco di Lufthansa. Hanno dovuto cambiar nome (oggi si chiamano Brussels Airlines e Swiss), ma hanno mantenuto porzioni di autonomia. Brussels, ad esempio, tiene attivo una parte dello storico network Sabena in Africa e sottolinea di avere il proprio hub “nella capitale della Ue”. Rileva anche che il socio strategico – al 45% – sia europeo (non come Ethiad) e che attorno sia stata ricomposto un azionariato “nazionale” di una trentina di soggetti: fra questi il gestore aeroportuale di Bruxelles, due finanziare regionali belghe, poli industriali come Tractabel o Solvay. L’intervento finale di Lufthansa è stato avviato nel 2009 e un ulteriore passaggio di integrazione di Brussels è previsto non prima del 2018.
Nel frattempo la spagnola Iberia è’ stata fusa con British Airwyas: assieme all’irlandese Aer Lingus, assediata in casa dai “barbari” di Ryanair. Proprio la regina delle compagnie low cost è divenuta il primo operatore di trasporto aereo in Italia sulle rotte interne (e ha annunciato entro quest’anno i primi collegamenti a basso costo con New York). Gli spazi per un’Alitalia “in continuità” con il suo passato sembrano ormai pochi: per di più con un partner extra-europeo che sta attraversando una propria fase di instabilità al vertice. Ma un’Alitalia “in discontinuità pilotata” – non solo negli assetti proprietari ma inevitabilmente nella dimensione strategica e nei costi – può avere un futuro. La sua missione potrebbe essere anzitutto “infrastrutturale” al rilancio turistico-culturale dell’intera Azienda-Paese. Su quest’Alitalia non sarebbe improprio che la Cassa Depositi e Prestiti investisse o che Poste italiane reinvestisse, assieme ad altri soci privati: non certo per turare a pié di lista le falle del passato, pronte a riaprirsi.