La settimana scorsa sono stato ospite al New York Encounter, uno stupendo festival culturale cattolico che si tiene ogni anno a Manhattan, e lì ho avuto una conversazione pubblica con un attore ormai molto premiato e che comincia ad apparire in tanta tv importante e poi anche in qualche film, di nome Richard Cabral. L’Encounter lo aveva invitato perché ha una storia particolare. Cresciuto nei “barrios” di Los Angeles, entrò in una banda di fuorilegge a 12 anni, e dall’età di 13 anni cominciò a frequentare il carcere. A vent’anni ha affrontato una condanna a 20 anni, che poi viene commutata a soli cinque anni. Una volta uscito di prigione cerca di cambiare vita, conosce un prete molto noto che lavora con i ragazzi delle gang, trova loro lavoro e li aiuta a ricominciare a vivere. “Vedi, Father Greg ha aiutato quella piccola fiamma che c’è nel mio animo a riaccendersi… mi ha aiutato a credere nell’amore… perché se qualcuno altro mi ha amato, come non posso amare me stesso?”.
Ad un certo punto, ad una mia domanda sulla sua vita nella gang, ha dato una risposta che ha sorpreso tutti, suscitando più di un mormorio nel migliaio di persone che ci stavano ad ascoltare. “Quelli della banda — ha detto Cabral — erano le persone più amabili del mondo. Le gangs esistono per l’amore”. Dopo tutto quello che aveva detto della violenza della sua vita, delle aggressioni più o meno gratuite che ha visto e fatto, questo non me lo aspettavo. Nella mia testa vedevo uomini pericolosi, pieni di rabbia e brutalità, e perciò era scioccante guardare Richard mentre lui era commosso al pensiero dei suoi ex compagni.
E allora mi sono ricordato di mio padre, un reduce della seconda guerra mondiale che, dopo tanti anni in cui non aveva più voluto sentir parlare di quelle esperienze brutali, nell’ultima parte della sua vita cercava la compagnia di quelli che avevano fatto la guerra con lui. Era così, pensavo, perché si trattava di uomini che avrebbero dato la vita per lui e mio padre aveva ora bisogno di ricordare il tempo in cui si sentiva amato.
Ho visto in Richard una nostalgia simile a quella di mio papà. E guardando Richard, avevo il desiderio di poter guardare in volto persone minacciose come lui era stato capace di fare. Vorrei poter stare davanti a persone che portano distruzione e sangue e vedere che sono amabili, che sono le persone più amabili del mondo.
Tre giorni dopo, ho potuto celebrare la messa per il secondo anniversario della morte di un amico che è stato leader di una comunità cristiana di New York. Era un nero, cresciuto nella povertà, dedito alla droga e all’alcol, a furti e violenze con le quali si procurava le sostanze di cui era dipendente.
Poi un incontro con un prete gli ha cambiato la vita. Ha incontrato una ragazza di questa comunità, una cattolica per bene e si sono sposati. Mentre lui moriva, lei ha fatto dei video (si trovano su Youtube) sul marito parlando della vita, di Dio, dell’amore, della gratitudine, della bellezza. Si chiamava Frank Simmonds. Rivedendo questi video la cosa che più mi ha colpito era quando Frank ha dichiarato che il dono più grande che Dio gli aveva dato, e di cui era più grato, era di poter vedere se stesso come Dio lo vedeva, con lo stesso sguardo di Dio. E ciò che vedeva era una creatura infinitamente amabile.
Voglio questo. Vedere le persone, me compreso, come Dio ci vede, senza paura. Voglio scoprire come ognuno di noi è infinitamente amabile. Questa è la mia preghiera. Grazie, New York!