Ha fatto alzare qualche sopracciglio l’assegnazione del Nobel per l’Economia 2017 allo statunitense Richard Thaler: uno studioso border  fra teoria economica e psicologia applicata. Ma soprattutto un ricercatore di economia comportamentale poco interessato all’homo oeconomicus disegnato dalle equazioni della tradizione classica e neoclassica e molto attratto invece dall’inafferrabile complessità della “produzione di scelte” che l’uomo fa nella realtà.

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal ai giornalisti che gli chiedevano di dire in poche parole il contenuto del suo apporto, Thaler ha risposto: “la lezione più importante è che l’agente economico sono gli esseri umani e che i modelli economici ne devono tener conto”. 

La più celebre fra le acquisizioni teoriche di Thaler è senz’altro il concetto di nudge: il “pungolo” – o “spinta gentile” – che può orientare le scelte di singoli o gruppi, senza restringerne la libertà di opzione e senza necessità di far intervenire incentivi economici. Nell’esempio più citato: “Mettere la frutta al livello degli occhi è un nudge, proibire il cibo spazzatura no”. Solo giochi accademici? 

Non del tutto se il governo Cameron, in Gran Bretagna, ha messo a suo tempo al lavoro una Behavioral Unit ispirata al nudge, sui più diversi fronti: dallo stimolo alla concorrenza nel mercato dell’energia all’efficacia dei piani anti-disoccupazione, fino alla lotta all’evasione fiscale. Il risparmio stimato in cinque anni di azione per i conti pubblici è stato di 300 milioni di sterline, ripagando ampiamente l’investimento iniziale. Alle politiche pubbliche ispirate a una comunicazione nudge – piccoli accorgimenti mirati a basso costo – si è interessata anche l’amministrazione Obama: soprattutto nei tentativi di recupero di homeless e minoranze razziali. 

“Paternalismo libertario”, è stato definito l’approccio nudge: un’espressione che rivela soprattutto una certa scomodità politico-culturale del thalerismo, cui invece nessuno più contesta l’attendibilità scientifica. E’ vero invece che la sua descrizione della razionalità umana è assai più ricca, problematica e aperta dell'”uomo a una dimensione” incapsulato in altri modelli economici premiati con il Nobel. Per Thaler l'”onestà” è una categoria economica: quella che induce ad esempio i venditori a tenere spesso bassi i prezzi per non incorrere nella sanzione di consumatori agguerriti. Per Thaler la naturale avversione alla perdita modifica la valutazione di un bene a seconda che lo possediamo oppure no e questo ha impatti significativi sul funzionamento dei mercati finanziari in cui il grosso dei risparmi privati è amministrato de gestori terzi. 

Ancora, per l’economista gli individui tendono ad assumere decisioni finanziarie in termini più isolati e meno strutturati, alla fine più creativi e meno controllabili di quanto alcuni quadri analitici prevedano. Per il Nobel 2017, insomma, l’economia è un oggetto infinitamente biodiverso: sbaglia chi pretende di studiarlo e governarlo con modelli e strumenti universali, senza tempo e validi in qualsiasi spazio.

A differenza di quanto messo in premessa dall’economia convenzionale, la natura razionale dell’uomo è determinata da desideri e spinte ben più profonde e complesse della mera massimizzazione del profitto. Iniziativa economica non vuol dire solo e soprattutto guadagnare, significa creare, inventare, rischiare, conoscere, modificare la realtà. Significa desiderio di costruire e di migliorare la propria condizione ma anche quella altrui, significa che nell'”io” si percepisce un “noi”.

E’ probabile che qualche diffidenza verso questo economista 77enne dell’Università di Chicago sia provocata proprio dalla sua estrema coerenza metodologica nell’assumere e rispettare sempre la libertà dell’uomo che si muove nell’economia. Thaler ha sempre resistito all’ipotesi riduttiva che l’uomo sia un algoritmo, un solo algoritmo valido per tutti gli uomini. Nei suoi studi c’è la curiosità per l’infinita capacità dell’uomo di cambiare schema, non la pretesa di misurare la sua intelligenza naturale con i parametri rigidi di un'”intelligenza artificiale”, ricostruita a tavolino. E il nudge – che qualcuno sospetta e banalizza come potenziale strumento di persuasione occulta – si pone in realtà come richiamo provocatorio: il mercato non è mai la semplice combinazione tecnica di previsioni statistiche, decisioni e contratti; la politica economica può essere impostata in modo diverso dall’elaborazione di decreti da parte di uno Stato, può riuscire anche rinunciando a dare “ordini” e provando a educare le persone.

In questo cambiamento d’epoca, quando si fa così fatica ad immaginare nuovi mondi possibili in cui far tesoro delle esperienze passate, un riconoscimento a uno studioso che ripensa l’economia a partire dall’osservazione dell’uomo concreto, fa ben sperare.

E per questo motivo sarà interessante sentire – il prossimo dicembre – quale mondo possibile s’immagina l’economista-psicologo.