Di stereotipi non se ne può più. Non se ne può più di leggere o sentir ripetere a ogni piè sospinto “parole che pesano come macigni”, “bombe d’acqua”, “polveri alle stelle”, “allarme rosso”, “pericolo giallo” e chi più ne ha più ne metta.  Ma il più in voga e stucchevole è il “si poteva evitare”, seguito talvolta da un pudico punto interrogativo, talaltra da uno spudorato punto fermo.

Facile fare la prova google: digitate “si poteva evitare” e prima ancora di premere il tasto invio l’algoritmo vi propone di restringere la ricerca a una delle cosette che “si potevano evitare”. Cito nell’ordine: l’incendio di Como, la prima guerra mondiale, la seconda, la morte di Pino Daniele, l’affondamento del Titanic, la shoah, Chernobyl e l’11 settembre. Ora premete il tasto invio vi uscirà una sterminata collezione di titoli che su tutto vi annunciano che “si poteva evitare”. 

Piccolissimo estratto:  “Incendio a Londra, Gloria e Marco sono morti. Con 6 mila euro si poteva evitare la strage”. “Lo sgombero dei rifugiati a Roma si poteva evitare?” (col punto interrogativo). “Strage di Viareggio, i giudici: si poteva evitare” (col punto fermo).  “Livorno, l’alluvione si poteva evitare?”. “Tutti morti sotto la palazzina. La tragedia si poteva evitare”. Attentato a Barcellona: “Una strage che si poteva evitare?”. “La morte di Noemi si poteva evitare?”. “Vajont: sì, si poteva evitare”. “Bill Gates chiede scusa: la combinazione alt-ctrl-canc si poteva evitare”. “Inagibilità del liceo Crespi: si poteva evitare?”. “Si poteva evitare di uccidere Harambe?”. “Deceduto per tetano: una morte che si poteva evitare”. “Banja Luka: i disordini si potevano evitare”. “La strage di Nassiriya si poteva evitare”. “La morte del piccolo Leonardo, una tragedia che si poteva evitare”. “La crisi bancaria si poteva evitare”, parola di economista. “La tragedia del Rigopiano si poteva evitare”. E via così all’infinito.

Da ultimo, il “si poteva evitare” ha fatto capolino in alcune delle narrazioni della tragedia del padre disperato che ha dato la morte a se stesso e ai quattro figli appiccando il fuoco nell’appartamento dove vivevano a Como. Tragedia in cui povertà, disoccupazione, grave malattia della moglie ricoverata hanno contato certamente, ma non bastano a spiegare il mistero insondabile della estrema letale decisione dell’uomo. L’uomo è stato anche aiutato dalla comunità comasca, com’è giusto che sia, per la casa, la mensa scolastica dei bimbi, qualche aiuto alimentare. Si dice che motivo scatenante sia stato il timore che “gli portassero via i figli”. E chi può dirlo con certezza? E chi può scommettere che aumentare gli aiuti materiali sarebbe “bastato” per riempirgli di senso la vita?

Rifugiarsi nel cliché, si capisce, consente un forte risparmio di energia cerebrale. Ora un giornalista — anzi, chiunque — può avere due atteggiamenti: stare di fronte alla singolarità irriducibile dell’evento, e in questo caso si stupisce del dato (gli tocca fare la fatica della ricerca), oppure incasellare pigramente l’evento in uno dei comparti del “già saputo”, e questo rassicura e rilassa. Nell’inflazione del “si poteva evitare” lo stereotipo non è solo pigro ma anche malefico. Facilmente corrisponde alla malabitudine, ahimè diffusa, del sospetto sistematico e del pregiudizio presuntuoso. Di fronte a eventi calamitosi come a tragedie umane. Beninteso: è non solo legittimo ma doveroso analizzare le cause, denunciare le colpe o le omissioni, indicare le strade della prevenzione. Ma lo stereotipo, qui, non è innocente. La corsa a persuadersi che “si poteva evitare” veicola una colossale bufala: e cioè che l’uomo sia in grado con la scienza e l’onestà di governare per intero la realtà e di evitare il male e il dolore. La presunzione tecnocratica rimuove la percezione del mistero e riduce la realtà; e il moralismo di quelli che sono onesti “a prescindere” rimuove l’assunzione di una vera responsabilità. Come dire: qualcuno a cui toccava “evitare” c’è di sicuro, trovatelo!; io, come volevasi dimostrare, ho le mani pulite.