Un affannarsi di piccolo cabotaggio sembra soffocare visioni di ampio respiro, quelle che riguardano un’immagine di Italia futura e del suo ruolo nel mondo.

Concentrarsi su prospettive di lungo periodo non pare mai prioritario; non la continuità di un’azione politica, non l’importanza di stringere rapporti duraturi con altri paesi, non la consapevolezza di ciò di cui siamo capaci e che potrebbe aprire sbocchi di nuovo sviluppo all’interno e in tutto il mondo. L’impressione è che niente di tutto questo tenga banco nel dibattito pubblico.

Un esempio macroscopico è quello del nostro rapporto con l’Africa, il continente le cui sorti sono decisive nell’ordine mondiale che si va configurando. Un interessante dibattito organizzato questa settimana da Il Circolo del Sussidiario con ospite Romano Prodi in qualità di esperto dei problemi del continente africano, ha chiarito la portata di questo tema.

Per tracciare una strada che porti lontano occorre innanzitutto capire lo scenario in cui ci si muove. Il primo fatto da considerare è che l’Africa resta il luogo delle più grandi contraddizioni, ma anche delle opportunità più interessanti, sia per noi che per i popoli africani.

Delle contraddizioni, prima di tutto, bisogna essere ben consapevoli. Eccole, in sintesi, così come elencate da Prodi. Nel 2017, l’Africa è la zona del mondo dove il Pil aumenta maggiormente, ma dove, nello stesso tempo, la miseria rimane impressionante e i problemi sociali sono sempre enormi. Tra i primi dieci paesi del pianeta che crescono di più, ce ne sono cinque africani. L’economia del continente nero è ancora molto legata all’export delle materie prime, mentre l’industria contribuisce allo sviluppo economico solo per il 10%. Lo sviluppo dell’Africa, negli ultimi tempi, è dovuto a due fattori: gli investimenti della Cina e la telefonia cellulare. Quest’ultima è l’unica infrastruttura che funziona. Le altre vie di comunicazione sono così scarse da rendere il commercio interno poco più che residuale. A livello globale il principale canale di scambio è quello con l’Europa, mentre a livello di singoli paesi primeggiano di gran lunga la Cina e l’India (nel 2005 erano l’ottavo e il nono paese).

L’aumento demografico è impressionante. Nei suoi 54 paesi abitano un miliardo e mezzo di abitanti, metà dei quali si concentrano in tre stati: Nigeria (che nel 2050 avrà più abitanti dell’Europa), Egitto ed Etiopia. Si stima che nel 2050 la popolazione raddoppierà e che nel 2025 più del 50% dei giovani sarà disoccupato, tanto che oggi questa mancanza di lavoro giovanile tocca già il 40%.

La risorsa su cui la popolazione africana può contare è costituita soprattutto dalle rimesse degli emigrati. Queste non solo hanno superato gli investimenti esteri, ma raggiungono le famiglie, garantendo un minimo di equità nella distribuzione del reddito, a differenza degli investimenti stranieri che provocano ancora a una corruzione altissima. Questo ci porta a uno dei problemi atavici presente quasi ovunque: la mancanza di una governance credibile, nonostante sempre più paesi scelgano i loro rappresentanti politici con elezioni democratiche.

L’altro grande dramma africano riguarda l’urbanizzazione. La popolazione urbana dal 1995 è raddoppiata: oggi mezzo miliardo di africani vive in quelle che non sono esattamente città, ma sono diventati immensi agglomerati urbani con servizi del tutto inadeguati.

Negli ultimi tempi sono stati fatti progressi dal punto di vista sanitario e culturale: piccoli passi ma che hanno portato all’aumento della speranza di vita e alla crescita dell’istruzione. Anche la povertà diminuisce lentamente, ma la metà degli africani è ancora definita povera, secondo lo standard internazionale, con un enorme livello di disuguaglianza.

Depredata e sfruttata, l’Africa non è solo lì a mostrarci la grave irresponsabilità dei paesi più sviluppati di fronte alla storia.

Ma si erge anche a testimoniare la poca lungimiranza di un paese come il nostro. Lasciamo perdere il discorso su una politica unitaria europea, ancora tutta da costruire. La politica dell’Europa per l’Africa è rimasta quella dei singoli paesi europei ex colonialisti. Idee lungimiranti come quella di una banca del Mediterraneo o di università miste con sedi in diverse città europee e africane sono finora del tutto disattese.

“Quante volte mi sento dire dai leader africani: ma l’Italia dov’è?”, ha detto Prodi. Che ha aggiunto con un po’ di amara ironia: è a Roma? In altre parole, siamo sicuri che risolveremo i nostri problemi ossessionandoci con le piccole o grandi beghe interne, anziché alzando lo sguardo per intrecciare nuove relazioni?

Con l’Etiopia, per esempio, dove, benché la presenza cinese sia ormai imponente, l’Italia, nonostante tutto, continua ad esistere nella memoria come una presenza positiva. Per non parlare dell’Eritrea, dove adesso c’è un regime nemico del suo popolo, ma in cui c’è Asmara, una città italiana in tutto e per tutto. Inoltre, l’Egitto e l’Algeria, in cui si stanno facendo investimenti cospicui e c’è posto per gli italiani, visto che i francesi non sono molto amati. E ancora, tutti i paesi in cui è presente l’Eni.

Quale altra dote dovrebbe avere la politica se non la competenza, la lungimiranza, la continuità per fare sistema? Non sarebbe questo il vantaggio più grande che gioverebbe anche a tutti gli italiani?

Il problema è che una linea politica deve rimanere vincolata a una visione, anche di fronte a periodi di instabilità, come quella che sta caratterizzando da tempo l’Italia.

Ma da dove può nascere una visione? Dagli esempi positivi in atto. Esempi che sono sempre particolari, ma che suggeriscono un metodo e un’immagine della strada da percorrere.

I nostri emigrati poveri di inizio secolo scorso erano persone con una visione: partivano pensando che poi almeno i figli sarebbero riusciti a studiare con i soldi che mandavano a casa. Ognuno di loro aveva una visione ideale: decideva di sacrificare la propria vita perché qualcun altro potesse poi un giorno migliorare il suo paese. Pensiamo anche ai missionari che sono andati nei paesi africani, per anni e gratuitamente: sono coloro che col tempo hanno costruito la rete sanitaria che permette a quel continente di non versare in condizioni ancora peggiori. O pensiamo a un uomo come a Enrico Mattei che ha costruito l’unica grande impresa italiana ancora florida in Africa, alleandosi con quei paesi, schierandosi per la decolonizzazione, ed evitando di depredarli. O ancora, pensiamo al Sud Africa di Mandela, in cui si è affermata l’idea forte, condivisa, che bisognava svoltare e per questo si è avviato un processo di pacificazione quasi miracoloso.

L’analisi è impietosa, ma di fronte ad esempi positivi, si può sempre ricominciare.