È passato un anno dall’elezione di Trump e la sua popolarità è tra le più basse nella storia degli ultimi presidenti: poco più del 30%. Bisogna tornare a Harry Truman, nel 1946, per trovare un livello così basso. Siamo davanti a un fallimento? Fino all’altr’anno, il Presidente degli Stati Uniti era stata una figura tendenzialmente “inclusiva”, il Presidente di tutti gli americani. Ma con Trump c’è stato un cambiamento radicale. È il presidente postmoderno che ha perso l’aspirazione al bene comune: un individuo che rappresenta un particolare settore della popolazione, una minoranza maggioritaria senza volontà di universalità. Obama e Bush, i due ex presidenti viventi più ideologicamente distanti tra loro, sono concordi nel condannare le politiche dell’inquilino della Casa Bianca.
Dopo un anno Trump ha mantenuto il sostegno di coloro che l’hanno fatto diventare Presidente e questo è quel che conta. Il livello di sostegno “alto” si basa su un meccanismo molto liquido: a furia di fake news è diventato un fake president. Questo è un buon momento per confrontare quel che ha annunciato, facendo intendere che ci sarebbe stato un cambiamento, con ciò che è veramente cambiato.
Il primo decreto del tycoon, firmato a gennaio nell’ufficio ovale, è stato contro l’Obamacare. Un tema ossessivo nella sua campagna elettorale. Dieci mesi dopo non è riuscito a far sì che il suo partito, maggioritario in entrambe le camere, distruggesse la legge e ha dovuto far ricorso a un decreto per ottenere un ritocco, importante perché modifica in parte il sistema di assicurazione sanitaria, ma siamo lontani dalla demolizione annunciata. In campo economico era previsto un ampio programma di espansione delle infrastrutture con investimenti pubblici. La cifra è già stata dimezzata rispetto quella che era stata proposta al Congresso e resta da vedere se la riforma fiscale promessa verrà approvata. Non è possibile raccogliere meno e spendere di più.
Il presidente ha messo in atto una svolta significativa alla politica estera statunitense nel Medio Oriente, ma meno forte di quanto assicura la sua propaganda. Uno dei pochi successi della politica estera di Obama è stato l’accordo con l’Iran per fermare il suo programma nucleare. È servito da contrappeso alla relazione preferenziale con l’Arabia Saudita. Al contrario Trump ha rinsaldato l’asse con Arabia Saudita e Israele per attaccare l’Iran. Ha annunciato di essere contrario all’accordo siglato da Obama, ma non lo ha stracciato, lasciandolo nelle mani del Congresso. In Siria, teoricamente si è opposto ad Assad e ai russi, con il bombardamento della base aerea di Shayrat dovuto all’uso di armi chimiche. Ma alla fine è arrivato a un accordo pratico con Mosca. Lo stesso è successo con la Cina.
Non tutto è stato fake presidency. Il ritiro dall’accordo di Parigi contro la lotta ai cambiamenti climatici, con le sue conseguenze disastrose, è stato reale. La sua scommessa sulle relazioni bilaterali basate su interessi commerciali ha realmente indebolito i forum multilaterali. E nel campo dell’immigrazione i cambiamenti sono molto tangibili. Trump non ha ancora esteso il muro. E ha deportato il 13% di immigrati senza documenti in meno rispetto a Obama. Tuttavia in questi mesi c’è stato un aumento del 40% nel numero di arresti. Non vengono deportati solo coloro che hanno commesso crimini, come prima, ma si procede in modo casuale. E la paura nelle città di confine come El Paso è cresciuta in modo esponenziale.
Il Presidente ha trasformato i 700.000 dreamers (gli immigrati che sono venuti negli Stati Uniti da bambini) in una carta da poker da giocare con i democratici. A settembre ha eliminato il programma Daca che li proteggeva. Poi ha approvato una proroga di sei mesi. E ora minaccia di sospenderla se i democratici non sosterranno nuove voci di bilancio per realizzare la politica migratoria da lui desiderata.
La politica migratoria è reale, come la nomina di Gorsuch, che ha posizioni contro l’aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso, alla carica di giudice della Corte Suprema. La nomina di una pro-life nella Corte Suprema, che ora ha una maggioranza di conservatori, ha fatto sì che alcuni settori cattolici e protestanti considerino positivo il bilancio dopo un anno di presidenza.
La fake presidency ha conseguenze tutt’altro che virtuali. La schiuma della falsa politica lascia una realtà di polarizzazione sociale. Si sfrutta il panico morale davanti a problemi di difficile soluzione per costruire muri miracolosi che separano l’americano dagli americani e gli americani dal mondo. La rinuncia a costruire la vita in comune e l’uso della paura dell’altro sono decisivi per fare una valutazione ponderata. Ogni giudizio politico tiene conto dei beni in gioco, l’insieme dei beni in gioco. E la protezione di alcuni beni decisivi non può giustificare una politica che ha rinunciato al bene comune.