In un’indagine condotta qualche giorno fa tra gli studenti dell’Università di Milano Bicocca è stato chiesto quali elementi in una lezione “ideale” non dovrebbero mai mancare. In un momento in cui domina il tema dell’innovazione tecnologica anche negli strumenti didattici, la maggior parte delle risposte contenevano la parola “passione”, attribuita sia alla figura dei docenti che a quella degli studenti.
La risposta risulta più comprensibile scoprendo che i ragazzi non sono presi da un rigurgito sentimentale e non esprimono il bisogno di balie che li accudiscano in modo infantile evitando loro la fatica.
Altre risposte chiariscono che gli intervistati aspirano non solo a ripetere ma anche a utilizzare operativamente le nozioni che apprendono. Per questo ritengono indispensabile una relazione umana che li renda via via capaci di muoversi in modo autonomo nelle materie che studiano. In questa ottica, secondo questi giovani, le lezioni sono efficaci innanzitutto per il merito di professori che sono competenti e credono in quello che fanno, comunicano il loro interesse e si coinvolgono, interagiscono con loro. Come ha detto uno degli intervistati, “l’aula rappresenta il nucleo della vita accademica di noi studenti. Proprio dentro quelle mura possiamo ascoltare docenti, discutere con loro, incontrare compagni, conoscerci e metterci insieme nello studio e nella ricerca di ciò che più si addice alle nostre capacità”. E non basta l’ora di lezione: sono particolarmente apprezzate attività seminariali, ore di laboratorio, momenti di tutoraggio che si affiancano alla lezione frontale. Suggerimenti vengono dati anche per l’esame: in luogo della verifica finale con interrogazioni orali o compiti scritti magari come purtroppo spesso avviene con quiz chiusi (sic!), si suggeriscono prove intermedie e paper durante l’anno basati anche sull’esame della letteratura o su veri e propri lavori di ricerca empirica diversi per le differenti materie (con analisi dei dati o rilettura di testi).
Quello che molto probabilmente questi ragazzi non sanno è che i loro desideri indicano ciò che già accade nelle università più avanzate nel mondo, dove esistono, a qualunque livello, dai corsi triennali al dottorato, vere e proprie classi con un numero limitato di studenti per professori e attività interattive di approfondimento ed esame come quelle descritte. In queste sedi viene valorizzata al massimo la capacità dei migliori docenti che considerano la didattica come attività non meno importante della ricerca e hanno un rapporto con gli studenti non anonimo ma personalizzato.
Certo, questa impostazione richiederebbe un numero di docenti ben superiore a quello che c’è in Italia e carriere differenziate tra un numero minore di docenti che fa anche ricerca e chi si dedica totalmente alla didattica, senza per questo sentirsi sminuito. E’ quel che avviene per esempio a Cambridge dove a fronte di diciassettemila studenti ci sono novemila docenti e assistenti! In Bicocca su 33mila studenti ci sono settecento docenti.
In attesa di tempi migliori, c’è comunque sempre la possibilità di reinventarsi una didattica utile all’apprendimento e alla crescita dei ragazzi.
Un piccolo esempio riguardante la mia storia accademica mi è rimasto sempre impresso. Un giorno dovevo insegnare un modello statistico e mi sono ritrovato in una classe composta per lo più da ragazze. Così, anziché cominciare mostrando passaggi e regole, ho comunicato che avremmo costruito insieme un modello per prevedere la vendita di un profumo. Il modello è apparso subito non come una cosa astratta, ma come uno strumento utile a decodificare un pezzo di realtà, in questo caso facilitante perché presumibilmente vicino all’interesse di giovani donne.
Entrando insieme alle ragazze negli elementi di quell’esperienza (ragionando ad esempio sulla differenza tra un campione di acquirenti del giovedì mattina piuttosto che del sabato, o su cosa incide sulla scelta di un profumo), è stato più agevole poi inserirli in una formula. In una parola, è stato semplice far capire il significato delle regole in base a un’esperienza. Per verificare la loro preparazione, all’esame finale non ho chiesto solo di enunciare le proprietà dei modelli, ma ho assegnato loro degli esercizi su dati reali perché realizzassero a casa con calma paper simili a iniziali rapporti di ricerca per committenti. Alla fine del corso gli studenti erano in grado di utilizzare in modo autonomo e professionale le conoscenze apprese sui modelli.
E’ una piccola rivoluzione quindi quella che suggeriscono gli studenti della Bicocca che, non per niente in maggioranza, si dicono nettamente contrari ad una ipotesi di sostituzione dei corsi de visu con corsi online. Niente di sorprendente però, considerando che in California, sempre più dipendenti delle aziende super tecnologizzate della Silicon Valley iscrivono i loro figli in una scuola come la Woldorf School of the Peninsula che ha scelto un approccio didattico di tipo tradizionale facendo a meno dei dispositivi tecnologici.
E’ la totale rivincita del fattore umano. Se l’uso di strumenti quali tablet o postazioni interattive nella didattica non va sopravvalutato (come suggerisce anche una ricerca dell’Oecd), il ricorso all’information technology non va nemmeno sottovalutato.
Avere risorse multimediali in classe favorisce l’esposizione del docente, la partecipazione attiva degli studenti, il rispetto dei diversi stili cognitivi, e soprattutto offre un’esperienza più completa dei contenuti, cosa che è fondamentale perché quella materia diventi patrimonio personale dei giovani. Ma il rapporto con un docente preparato e appassionato rimarrà sempre decisivo per acquisire i criteri con cui organizzare le informazioni, sviluppare capacità critica e decisionale, insieme a tutta quella serie di capacità, come creatività, collaborazione, responsabilità, sempre più decisive per muoversi nel mondo contemporaneo. Sapremo ascoltare la sagacia degli studenti?