Vista dalle quote alte riservate alle élites di lungo corso, l’aiuola Italia appare come la Nave dei folli dipinta da Jeronimus Bosch, brulicante di populisti dediti a mugugni di protesta e cazzeggi innocui, noncuranti del mare in tempesta, e Dio non voglia che il timone finisca in mano a qualcuno dei tribuni incompetenti di questa plebe. Un uomo delle élites di lungo corso come Eugenio Scalfari è pronto addirittura a sdoganare il Cavalier Silvio Belzebù Berlusconi,  da più di un ventennio presentato e avversato come il terzo Male Assoluto d’Italia, dopo il Cavalier Benito Mussolini e il socialista Bettino Craxi, pur di garantire la futura governabilità.

Il tema serio per le élites è: come si farà a governare un paese malato di populismo, con un sistema politico malconcio e mezzo screditato? Ed è un tema oggettivamente serio.

Ma il popolo è così populista? Il popolo ha i suoi desideri, le sue idealità e le sue pulsioni, si sa; da tempo però, non trovando una forza politica “tradizionale” che valorizzi quello che ha in testa, facilmente si volge a chi meglio gli titilla quello che ha in pancia. Pericoloso, il popolo: nel ’33 ha votato Adolf Hitler in libere democratiche elezioni, e poi ce ne ha messo del tempo per pentirsene. Se tocchi le corde sbagliate, quelle della pancia, c’è caso che si faccia trionfare, molto più modestamente, un grillo-Di Maio o un le pen-Salvini.  Ma povero popolo. Ci  hanno passeggiato sopra con i tacchi a spillo tanti poteri, potenti e accoliti, che l’hanno devastato in un lungo processo storico che va dall’omologazione consumistica di pasoliniana memoria all’asservimento al business della post-verità tramite lavoro gratis a colpi di post per i padroni dei social.

Ma è proprio vero che è il popolo il problema? Il popolo è come il colesterolo: ci trovi dentro una componente Hdl buona e una componente Ldl cattiva. Nello stesso popolo, nella stessa singola persona.

Recita un antico adagio che l’occasione fa l’uomo ladro (o populista). Ma propongo un nuovo adagio, complementare al primo: l’occasione fa l’uomo santo. L’adagio mi viene osservando il fenomeno Colletta per i bisognosi organizzata dalla Fondazione Banco Alimentare. Essa è la più grande occasione positiva per il popolo italiano e appunto fa l’uomo santo. Anche l’altro ieri, ventunesima edizione: straordinaria mobilitazione di popolo e ingente provvista di cibo, resistendo alla crisi: 5 milioni e passa di donatori (grosso modo una famiglia su tre), 145mila volontari gioiosi, 8.200 tonnellate di buoni alimenti raccolti (fate conto, un’ininterrotta fila di Tir ben carichi lunga sei chilometri), a beneficio di 8mila opere di carità che aiutano una folla di povera gente che non tira la terza settimana. Che è tanta, ma tanta.

Ma più ancora del buon raccolto conta la novità di mossa personale e di relazione sociale vissuta da tutti i partecipanti, donatori e volontari. In campo si sono messi personaggi i più diversi: da papa Francesco con appelli all’angelus a Gene Gnocchi in pettorina a Bologna, dai cardinali di santa romana chiesa alla sindaca pentastellata di Torino, Appendino, alla vasta schiera di alpini, cattolici delle associazioni, carcerati, dipendenti di aziende, associazione padri separati, un comico ex di Zelig impoverito per la separazione, i musulmani della moschea di via Padova a Milano, imam in testa. Impossibile nominare tutti quanti. E non provate a separare buoni e cattivi. Fra tutti, comunque sia, nel fausto giorno della Colletta, cadono muri di estraneità. Proseguendo esperienze già in atto, o aprendo nuovi percorsi. La Colletta non seduce la testa per conquistare l’assenso ideologico e non titilla la pancia per conquistare l’assenso umorale. E’ una proposta semplicissima che arriva al cuore. Il cuore non va a viole come la testa o a scatafascio come la pancia. Il cuore non si fa fregare. Il cuore, dico, vero, non quello dei melliflui sentimenti, ma quello della tenace natura umana che, sepolta magari, ma mai estinta, urge a prestar soccorso a chi ha più bisogno, spinge a incontrarsi tra uomini e a ritrovare le ragioni della solidarietà e del bene comune. Dal basso. 

Le élite prendano nota, temano i demagoghi, ma non temano questo popolo. Testa (ideologia) e pancia (reazione emotiva) possono venir buoni a chi vuole strumentalizzare. Il cuore no. Perché da lì viene fuori la gratuità, che è la più grande risorsa personale e sociale che si possa immaginare. Senza gratuità non c’è buon lavoro né buona educazione né buona politica. Dall’esperienza della gratuità rinasce l’io e quindi può rinascere un popolo. E anche una nuova buona politica, non perché si faccia un partito della Colletta, ma perché o la politica è, come dice la Chiesa, la forma più alta di gratuità (carità), o non è.