Mancano due mesi scarsi alla fine del 2017 e si può dire che l’Europa ha tenuto botta. La politica monetaria espansiva della Bce, che molto gradualmente sarà ridotta, ha consentito di mantenere una certa crescita economica. Francia e Germania hanno fermato i populismi. L’Ue ha guadagnato peso per la sua fermezza nella negoziazione del Brexit ed è stata imprescindibile per far sì che la crisi in Catalogna venisse gestita in maniera ragionevole. Non possiamo nemmeno immaginare che cosa avrebbe significato per la Spagna la pretesa secessione senza l’aiuto della Commissione o del Parlamento europeo. Puigdemont, il Presidente catalano fuggito dalla giustizia, ha solo trovato un po’ di eco a Bruxelles perché il Belgio è un Paese separato da un muro, quello che divide il nazionalismo fiammingo da quello vallone.

Si possono quindi riprendere i progetti per ricostruire sulle fondamenta che sono rimaste in piedi l’edificio crollato? Nonostante il fatto che l’estrema destra è diventata la terza forza in Germania? Nonostante la metà dei catalani voglia uno Stato indipendente perché persegue un progetto nazionalista? 

Alcune settimane fa, la ricercatrice Catarina Kinnvall, dell’Università di Lund (Svezia), ha pubblicato lo studio “Racism and the role of imaginary others in Europe”, nel quale si constata l’aumento della xenofobia tra gli europei. È la paura, secondo la ricercatrice, a generare la nostalgia per una “identità pura”.

Il tempo della chiarezza, il tempo della luce sembra essere scomparso. Ci sono solo minacce. All’inizio del prossimo anno sarà pubblicato (il titolo dice tutto) “Enlightenment now: The case for reason, science, humanism and progress”. È l’ultimo libro di Steven Pinker, psicologo e filosofo del linguaggio, riferimento di culto del liberalismo più ottimista. Pinker mette in evidenza che contro il nazionalismo e il populismo la soluzione è quella di difendere la democrazia, la legge e l’ordine, sostenere con militanza i valori dell’Illuminismo. Si potrebbe aggiungere, forse più sottilmente, per completare le sue argomentazioni, che è necessario fare un esercizio d’intelligenza e dire, in quest’epoca di crisi, tutta la verità. La tradizione liberale, la tradizione cristiana, tutte le tradizioni ancora in piedi, dovrebbero mettere sotto esame “la grande deriva” della luce e costruire un edificio solido e consistente di argomentazioni e giudizi che diano una risposta appropriata.

Si tratta di una soluzione che, a giudicare dai risultati, può qualificarsi come un esercizio di volontarismo, secondo le parole del sociologo spagnolo Victor Pérez Díaz. Un esempio è quello che è accaduto pochi minuti dopo la dichiarazione di indipendenza in Catalogna. L’ex vicepresidente Oriol Junqueras, uomo colto, ha detto che la secessione è stata proclamata in nome di “valori universali che il mondo cristiano chiama uguaglianza agli occhi di Dio, o amore fraterno, e che il mondo illuministico chiama fraternità, uguaglianza e libertà”. Un buon catalogo di valori e giudizi, slegati dall’esperienza che li ha generati, torna buono per qualunque cosa.

Per questo non sbaglia Victor Pérez Díaz quando afferma che “tra le abitudini cognitive e morali della vita politica moderna, nel quadro interpretativo usuale della modernità politica (e di un’ampia parte del mondo intellettuale, aggiungiamo noi), c’è un taglio volontaristico. Ciò è particolarmente visibile nella classe politica, nell’inibire lo sviluppo delle forme civili”. Questa lettura volontaristica della realtà umana, dice il sociologo, pone l’attenzione sullo “scontro tra amici e nemici.” Le forme civili, al contrario, sono caratterizzate “dall’enfasi nella deliberazione, lo studio delle situazioni, l’ascolto delle argomentazioni e l’attenzione alle esperienze diverse”.

Se i valori cristiani e illuministici servono per difendere o criticare il nazionalismo, a seconda delle convenienze, è inutile aggiungere più piani a una forma di intelligenza della realtà che non contribuisce allo sblocco ideologico. Sembra solamente conveniente ricorrere a “quelle forme civili” in cui si ascoltano “esperienze diverse”, all’incontro, che è molto più che ricerca di consenso o esercizio di buonismo. L’incontro è un luogo dove emerge il materiale umano di cui siamo fatti e che nessuna ideologia può seppellire del tutto. L’intelligenza in questi momenti sta nell’individuare, incoraggiare, dare spazio e sistematizzare questi lampi in cui gli incontri umani ci permettono di riconoscerci bisognosi delle stesse cose, uniti da identici desideri. Questo è ciò che supera la paura. Un’altra intelligenza che non nasca da queste “forme civili” non è all’altezza della sfida.