“Di cosa ti stupisci? Non c’è da fidarsi…”. Quella della collega di una preside di scuola media sembra la conclusione di buon senso di una vicenda che parla da sé. Un uomo di origine marocchina si presenta in una scuola libera chiedendo che il figlio venga ammesso perché nell’istituto pubblico che frequenta i professori non sono validi. Oltre a lodare le caratteristiche del figlio fornisce le credenziali del suo lavoro lasciando un tesserino da cui risulta che occupa una posizione di rilievo in una nota impresa di successo. Il ragazzo si presenta il giorno dopo e si scopre che non corrisponde alla descrizione del papà: è violento e tossicodipendente. La preside riguarda il cartellino lasciato dal padre e scopre che il nome della ditta è stato incollato: anche il genitore non è quello che ha detto di essere. Tutti sono concordi: il ragazzo non può essere ammesso, anche perché la scuola non è attrezzata per aiutarlo.

Tutto finito, quindi? Non proprio. Mentre alcuni chiudono la “pratica” sostenendo che non bisognerebbe essere così ingenui, la preside rimane profondamente addolorata e non riesce a togliersi dalla mente quel padre che per il bene del figlio è costretto a ricorrere alle bugie. La pietà umana della donna in apparenza non cambia niente. Ma nella realtà, in chi è intorno a lei, resta un pungolo.

Altro scenario. Anni Novanta, l’HIV non è ancora stato “addomesticato” e diffonde terrore nell’opinione pubblica, così come nei familiari più stretti dei malati. In un reparto per infettivi, c’è il solito tran tran di medici, infermieri e parenti bardati che entrano ed escono dalle camere cercando di rimanerci il meno possibile. Grazia soffre terribilmente nel suo letto, sembra che niente le dia sollievo. Pino non può che guardarla impotente. Ad un certo punto arriva un’infermiera sorridente, irrompe nella stanza, si siede sul letto e inizia ad accarezzare la mano di Grazia. Sembra non curarsi affatto di quello che per tutti è un pericolo. Sembra avere in mente solo la sofferenza di quella donna. Pino rimane sconvolto. Dopo tanto cinismo e una vita passata seguendo la legge del più forte, quella pietà umana gli stravolgerà l’esistenza.

Cambiamo ancora scena. Siamo in un ufficio, tre colleghi, due giovani e una donna, stanno trascorrendo un giorno come tanti. Improvvisamente la donna scoppia a piangere. Uno dei due giovani abbassa la testa, fa finta di niente e continua a lavorare; l’altro, da poco assunto e che conosce a malapena la collega, si alza e va a confortarla dicendole parole generiche ma sentite: “Coraggio, vedrai che passerà”. Lei sembra riprendersi e il giovane si risiede, con la sensazione di aver fatto poco o nulla per aiutarla. La sera riceve una email della donna che lo ringrazia e gli dice quanto le sia servito quel gesto semplice e così sentito in quel momento di difficoltà.

Cambia ancora la scena. Ogni mattina, mentre si reca la lavoro, una ragazza incontra un giovane africano che chiede la carità. Gli dà sempre l’elemosina, ma un giorno, ricordandosi che il Papa ha suggerito di non limitarsi a questo, gli rivolge la parola. Quelle due chiacchiere diventano quasi abituali, finché una volta la donna gli offre un caffè. Cominciano a parlare e in un impeto di generosità gli chiede di preparargli un curriculum e salva il suo numero di telefono. A casa ne parla con il marito, questi prende a cuore il giovane immigrato e dopo un po’ di tempo riesce a trovargli un lavoro. Non passa molto tempo e la coppia invita il ragazzo a pranzo per approfondire l’amicizia, ascoltando il racconto del suo calvario per arrivare in Italia, ma anche il fatto che è di famiglia cattolica e sua mamma non ha mai smesso di pregare Gesù perché gli facesse capitare qualcosa di buono nella vita. Adesso, conclude, sua mamma prega ogni giorno per i suoi nuovi amici.

In nessuno dei casi descritti i problemi sono stati risolti: il ragazzino delle medie non ha avuto la sua chance in una scuola che forse avrebbe potuto cambiargli la vita, la donna ammalata di Aids, poco tempo dopo è morta, l’impiegata porta con sé ancora il suo cruccio, il ragazzo africano ha davanti a sé una strada ancora piena di incognite.

Eppure, non possiamo negare che per ognuno di questi atti di pietà umana abbiamo sentito che da lì tutto può ricominciare. Che la speranza è lì, che quello sguardo lo vorremo su di noi, che vorremmo avere in noi quello stesso impeto umano. Sembrano gesti inutili: eppure in un modo misterioso lasciano un segno indelebile. Aprirsi a chi sta davanti e cercare di immedesimarsi in lui, nel suo bisogno innanzitutto umano, anziché chiudersi e difendersi dietro regolamenti, leggi e doveri morali, o limitarsi a fare analisi sociologiche e invocare interventi normativi fa una differenza sostanziale. Svela innanzitutto a noi stessi la grandezza del nostro essere umani, l’infinito desiderio di amore e bontà di cui è fatto al fondo il nostro cuore, al di sotto di tutte le incrostazioni che lo offuscano.

In una cultura come la nostra in cui si pensa di poter risolvere i problemi sociali aumentando le punizioni, solo riscoprendo questa originaria gratuità potremo vivere meglio e dare il nostro contributo reale per cambiare la convivenza.