NEW YORK — A New York c’è sempre tanta gente. In tanti ci viviamo, per la maggior parte affaticati dai suoi ritmi e pretese eppure orgogliosi di esserne parte: siamo l’America! Tanti vengono e vanno da bravi turisti, decine di milioni ogni anno perché a New York, in America, se non ci sei mai andato, almeno una volta bisogna. Ed una volta che si è venuti non si può non ritornare…. Tanti vengono qua per lavoro, magari per un business meeting di una manciata di ore con chissà chi per poi precipitarsi all’aeroporto e tornare da dove son venuti. Di questi tempi, nella stagione natalizia, strade, marciapiedi, subway station, aeroporti si ingolfano ancora più del solito.

L’America! Neanche Akayed Ullah ed il suo tentativo di terrorizzarci sembrano sortire effetto. Non perché siamo coraggiosi, ma perché nessuno è disposto a rivedere i propri progetti, che siano quelli della vacanza o della vita quotidiana. Nessuno vuole rinunciare a questa terra chiamata America. E così tutti continuiamo a correre, girare e sbatterci per esserne parte o per arrivarci.

Ma ogni tanto diventa inevitabile fermarsi un momento, guardarsi intorno e chiedersi “ma dove vanno tutti quanti, dove corrono a quest’ora del giorno e della notte? Dove andiamo?”. È a quel punto che mi viene sempre inevitabilmente in mente quel verso di Paul Simon che guardando le auto andare e venire sulle turnpikes del New Jersey ci dice che “All come to look for America”, tutti vengono a cercare l’America. Tutti, da chi ci vive ai turisti, dai businessmen a chi entra illegalmente alla ricerca di un presente vivibile ed un futuro migliore fino a chi viene qui a studiare augurandosi di trovare in questa terra quello che il vecchio continente non offre più: un pezzo di prateria su cui lanciare al galoppo i propri talenti ed il desiderio di costruire qualcosa.

Tutti cerchiamo l’America. Ma giorno dopo giorno, tra acidi antagonismi politici, un diffuso impoverimento socio-economico, una crescente animosità razziale, confusione e smarrimento di quei valori etici che hanno sempre costituito l’ossatura di questa nazione, l’idea di “libertà”, la grande forza trainante di sempre, sembra sfumarsi in uno sterile moralismo. Dilagante. I dati positivi (così pare) dell’andamento economico e del mercato del lavoro, la crescita costante della Borsa, il fatto che di opportunità continuino ad essercene, solo in parte riescono a mascherare il disagio, il malessere e l’ansia del vivere. Il poter essere ciò che voglio — il sogno di sempre — si incaglia sul non saper più cosa sono e cosa siamo. Chi è libertario non lo è mai abbastanza, chi è conservatore non sa più cosa ci sia da conservare. Che l’Alabama scelga per la prima volta in vent’anni un senatore democratico è il fatto dell’ultima ora. Apparentemente una svolta, certamente uno schiaffo a Trump. Ma avesse anche vinto Roy Moore, il vero risultato di queste elezioni sarebbe stato lo stesso: ancora più inimicizia, divisione, estraneità, ancora più smarrimento.

“All come to look for America”, tutti vengono a cercare l’America, come sempre dai tempi dei Pilgrim Fathers, ma oggi è l’America che ha bisogno di cercare se stessa.

Ce la farà?