Primo quadro. Pochi maledetti e subito. Antico motto di chi bada al quattrino in mano e non alle ciance. Dal primo gennaio verrà erogato ai poveri il cosiddetto Rei, reddito di inclusione. Per 18 mesi, eventualmente prorogabili per altri 12, mezzo milione e passa di famiglie, cioè quasi 2 milioni di esseri umani, avranno qualche cento euro al mese per sostentarsi. Gli organi di stampa nazionali e locali documentano l’alto numero di richieste da ogni dove. I poveri-poveri sono il 4,5 per cento degli italiani e il 27 per cento degli stranieri. Tecnicamente si chiama povertà assoluta. Praticamente gli manca da mangiare. La parola reddito è un eufemismo per dire soldi. Pochi maledetti e subito: la fame non aspetta e non fa proroghe. La parola inclusione, invece, mantra dell’Europa dei princìpi, è burocratese che indica l’altra faccia del provvedimento, cioè le azioni concrete per assicurare equità e parità di opportunità a chi non le ha. I soldi — neanche pochissimi per chi non ne ha, benedetti e subito — sono certi. L’inclusione — lavoro, casa, iter scolastico, relazioni sociali — boh. Basteranno gli uffici comunali, provinciali e affini?

Secondo quadro. A proposito di Europa. Avanza l’Europa dell’esclusione. L’Austria si affida a un governo in cui Interni, Difesa ed Esteri (cioè quasi tutto quello che conta) sono in mano al partito populista di estrema destra. Gente capace di chiedere all’Italia, e neanche per piacere, di ributtare a mare barconi e naufraghi africani, mica che dopo arrivino al Brennero, che a loro poi tocca chiuderlo con quel che costano i reticolati.

Terzo quadro. In una parrocchia cattolica del Nord Italia, nel salone gentilmente messo a disposizione da un parroco che porta ancora la talare, sono a tavola insieme per il pranzo di Natale gente d’ogni età, etnia e religione (cattolici, musulmani, ortodossi), circa 200, tutti amici di un Banco di Solidarietà, uno dei tanti centri di aiuto alimentare presenti nello Stivale. Il clima è di affezione e gratitudine reciproca. E tu provati a distinguere chi porta il pacco di cibi e chi lo riceve: impossibile. Tranne che per i denti mancanti: lo stato della bocca è il segno inequivocabile dell’indigente. Per il resto, non c’è chi fa il bene e chi lo subisce. E’ una circolazione di bene ricevuto. Questo pranzo si fa da qualche anno, e sempre — tra il primo e il secondo — si è offerta a tutti una testimonianza di carità, dal vivo o filmata. Finora, una testimonianza “cristiana”: il Papa, Madre Teresa di Calcutta, la piccola, santa, Myriam, profuga irachena di Qaraqosh. Con alto gradimento anche da parte degli islamici. Quest’anno è stato dato a due di loro il microfono per dire come e perché hanno partecipato alla Colletta alimentare nazionale di fine novembre. Una testimonianza islamica. Lo spirito del pranzo di Natale è lo stesso che permea una rete di relazioni, a volte facili e sciolte, a volte meno, ma sempre tese a scoprire che l’altro è un bene per me.

Senso religioso. I soldi benedetti non bastano a fare inclusione. Chissà cosa riusciranno a fare gli uffici pubblici: non mettiamo limiti alla provvidenza, ma per sola via burocratica è improbabile cavare ragni dal buco. L’Europa predica bene, ma nessuno dei suoi organi sa fare alcunché di reale per tirar giù muri e reticolati. L’inclusione o è un’esperienza di popolo o non è. Popolo è gente che si sente accomunata da qualcosa di profondo della propria umanità: la parola giusta è senso religioso. L’incontro a questo livello, senza equivoci e confusioni, fa stimare la religiosità e anche la religione dell’altro.  

Cliché. Ora accade che giornate e feste dell’inclusione si stanno diffondendo, da tempo, all’insegna di programmazioni scolastiche, parascolastiche, comunali e affini. Di per sé, niente da dire. A volte, però, non sono alla maniera di quel pranzo solidale di cui sopra, non sono cioè alla maniera di uomini, fedi, culture, esperienze, storie che si incontrano, conoscono e stimano. Ma, al contrario, sono concepite all’insegna dello sradicamento dalle storie particolari che costituiscono le concrete fisionomie personali. L’inclusione non è allora l’incontro e la compagnia di persone e di volti che fanno comunità. E’ solo la sagra di simulacri, di cliché umani. Metti: sotto Natale, guai a parlare di Gesù. Grave, gravissimo, errore.

Salvi tutti. La carità, a quanto pare, è presente nel Corano, e non lo metto in dubbio. Resta tuttavia che nella storia il pieno di inclusione l’ha fatto Gesù Cristo. Al di fuori di lui le religioni sono sempre state un marcatore civico esclusivo di una comunità, un’etnia, un potere. Un marcatore esclusivo, cioè escludente. Cristo no, la sua salvezza è per tutto il genere umano e per ogni individuo, tutti inclusi, e nessuno escluso: pubblicani, prostitute, guerci, storpi, samaritani e samaritane: non c’è più giudeo né greco, schiavo né libero…  In Cristo siamo già inclusi. Anzi, di più: una cosa sola.