Giovedì si terranno le elezioni in Catalogna, dopo una dichiarazione unilaterale di indipendenza, dopo un intervento del suo governo autonomo. A giudicare dalla partecipazione record prevista dai sondaggi (alcuni hanno parlato di un’affluenza fino al 90%, ridotta poi all’82%), un’immensa maggioranza di catalani è convinta dell’utilità del proprio voto. Le elezioni non risolveranno automaticamente alcun problema. Infatti, è possibile che debbano essere ripetute. Il risultato delle urne non chiuderà la ferita di anni, cresciuta negli ultimi mesi. Ma i voti contano e molto.
Gli ultimi dati economici certificano per l’ennesima volta le conseguenze della spaccatura tra i catalani. Il quarto trimestre si chiuderà in Catalogna con un aumento dello 0,4-0,5% del Pil, metà della crescita realizzata nel trimestre precedente. Gli economisti dicono che si tratta della traduzione in termini produttivi del conflitto sociale. Senza fiducia reciproca non c’è nessuno che costruisca il Paese. Si stima anche la mancata creazione di 60.000 posti di lavoro.
Ci sarà chi interpreterà i dati accusando chi è fuori dalla Catalogna. Le bolle ideologiche di solito stravolgono la realtà a proprio vantaggio. C’è un grande compito umano e civico da svolgere in Catalogna. La parola dialogo non è mai stata usata così tanto e non è mai stata così scarsa: il dialogo per comprendere le ragioni che portano l’altro a sostenere ciò che afferma, per avere l’esperienza che l’altro può essere una ricchezza. Mai prima d’ora il “perdono” della differenza è stato così scarso. Mai prima d’ora è stata delegata così tanto la responsabilità della persona, l’unica istanza da cui potrebbe derivare il cambiamento, nel “Paese”, nella legge o in un progetto astratto.
La bolla ideologica si sgonfierà mano a mano che il dialogo, l’incontro con l’altro e la costruzione personale (cioè sociale) si faranno largo. E il risultato delle elezioni può aiutare a rimuovere gli ostacoli. Ci sono tre voti che possono contribuire a bucare la bolla ideologica. Il primo è la scheda bianca. Nel blocco indipendentista, tra quelli che scommettono sull’indipendenza e il diritto di decidere, la cosa logica da fare è un voto di rimprovero, persino l’astensione. La gestione del processo è stata un fiasco per coloro che vogliono la secessione. I promotori stessi, come rivelato dai verbali delle loro riunioni del 2016, sapevano che stavano andando verso il fallimento. Se la bunkerizzazione di fronte alla realtà non fosse così solida, in questo momento assisteremmo a una forte discussione tra gli indipendentisti per individuare le responsabilità di questo fallimento. Gli errori commessi hanno causato molti danni alla causa. Avrebbe senso non rinnovare la fiducia in coloro che offrono la stessa cosa.
Il processo di recupero del legame con le cose deve ancora essere compiuto da gran parte dei leader che hanno scommesso sulla rottura. Per questo ci sono catalanisti da una vita, quelli che sono disgustati dal costituzionalismo di Ciudadanos (il nuovo partito emergente), cui non dispiacerebbe una sua vittoria. Questi catalanisti sono convinti che solo la vittoria di Ciudadanos può annullare il ciclo malinconico, la chiusura in se stessi degli indipendentisti. Finora un partito non nazionalista non ha mai vinto le elezioni regionali in Catalogna. La fine dell’egemonia elettorale del nazionalismo potrebbe avere effetti positivi, come nei Paesi baschi. Ciudadanos ha pochissime probabilità di governare, è un partito immaturo in quasi tutte le questioni che non si riferiscono al modello territoriale. E persino le sue proposte in questo campo sono per molti aspetti discutibili. Ma votare Ciudadanos non è votare un Governo: vuol dire puntare su una breccia.
C’è però una parte dei catalinisti cui risulterebbe impossibile votare Ciudadanos. Per costoro c’è il terzo voto, quello al Psc. I socialisti catalani, con il loro leader Miquel Iceta, hanno commesso molti errori in questa campagna elettorale (hanno parlato di indulto per i leader secessionisti quando non sono ancora stati processati), ma hanno avuto il merito di formare una lista ampia. Una lista in cui si va dai democristiani che hanno abbandonato la causa dell’indipendenza agli ex comunisti fedeli alla legge. Si potrà dire che sono equidistanti, ma sono stati in grado di raccogliere l’aspirazione di molti catalani (incompresa a Madrid) che vogliono essere qualcos’altro. Il Psc incarna, con tutti i suoi difetti, il catalanismo non di rottura. Ci saranno quelli che non li voteranno perché pensano che non adempiranno le loro promesse e scenderanno a patti con gli indipendentisti dell’Erc e Comunes. Potrebbe anche essere. Ma un tripartito di sinistra che costringerebbe l’Erc a rinunciare all’unilateralismo indipendentista non sarebbe in questo momento una conquista (un male minore)? Fino a quando non si è scatenata la crisi, il governo di Rajoy ha avuto il suo principale interlocutore proprio in Erc.