“Almeno oggi siamo buoni!”, diceva mia nonna il giorno di Natale, ogni volta rovinandomi il pranzo e facendomi andare su tutte le furie. Usare il Natale, alla fine, come pretesto per farmi il fervorino era davvero troppo. C’è voluta una vita per toccare con mano come la discesa di Dio tra gli uomini in forma umana ha, eccome, un nesso con la nostra capacità di amare. C’è voluta una vita, tante esperienze e tanti incontri. Come quello con il grande scrittore Giovannino Guareschi. Grazie al suo “Mondo Piccolo” ho tracciato nella mia mente un percorso che mi ha aiutato ad essere più consapevole di cosa significhi voler bene.
La prima tappa riguarda il contrario dell’amore. Che non è l’odio, ma è molto più frequentemente l’ideologia.
Nell’episodio “Il commissario”, Guareschi racconta di come don Camillo si prodighi per distribuire ai poveri i pacchi alimentari portati dagli americani nell’ambito del piano Marshall. Per raggiungere anche i comunisti poveri coinvolge Peppone nell’iniziativa. Accade però che la federazione del PCI manda un commissario a controllare. Questi interviene in modo brutale, non solo strappando il pacco di viveri a uno dei più poveri comunisti, Stràziami, ma schiaffeggiandolo davanti al figlio. Così racconta Guareschi: «Il commissario federale attese per qualche istante una risposta che non venne. Poi, con estrema calma, sollevò i quattro lembi della tovaglia, li riunì, tolse il fagotto dalla tavola e, aperta la finestra, buttò tutto nel fosso. Il bambino tremava e si era messe tutt’e due le mani davanti alla bocca e guardava atterrito il commissario federale. La donna si era rifugiata contro il muro e Stràziami, lì in mezzo alla stanza con le braccia ciondoloni, pareva impietrito. Il commissario federale richiuse la finestra, si appressò lento a Stràziami, lo fissò qualche istante negli occhi, poi lo schiaffeggiò due volte. Un filo di sangue scese dall’angolo della bocca di Stràziami».
Che importa se la cosa più preziosa di Straziàmi, la sua dignità, è stata umiliata davanti a suo figlio? Non conta la persona, conta il destino collettivo deciso dall’ideologia, un sistema di pensiero astratto e contro l’uomo reale, in carne e ossa.
Ma Giovannino mostra che questa stortura alberga in tutti, anche in don Camillo, il quale, in realtà, ha distribuito i pacchi alimentari più per propaganda che per amore al prossimo. E’ il Cristo del crocefisso che mette don Camillo con le spalle al muro: «E anche quando dividi il tuo unico pane con l’affamato tu non devi gettarglielo come si getta un osso a un cane… Tu oggi hai fatto soltanto della beneficenza e neppure il superfluo tuo, ma il superfluo degli altri hai distribuito ai bisognosi e non c’è stato nessun merito nella tua azione. Eppure non eri umilissimo come avresti dovuto essere, ma il tuo cuore era pieno di veleno».
Straziàmi non accetta di perdere la sua dignità per un’ideologia astratta e disumana. In lui prevale la dignità e l’amore per suo figlio. Nel racconto successivo, dal titolo “Caso di coscienza”, restituisce la tessera del partito in cui pur aveva tanto creduto: «”Questa non è più una tessera di partito ma un tesserino da vigilato speciale… La mia libertà me la sono pagata rischiando la pelle. Non sono disposto a rinunciarvi”. “Tu tradisci la causa” disse Peppone. “La causa è quella della libertà. Se rinuncio alla mia libertà, allora sì tradisco la causa”».
E’ il cuore di Straziàmi a suggerirgli in modo infallibile ciò che è vero e giusto. Alla fine, anche Peppone e i suoi scagnozzi si ribellano all’ideologia e scoprono che obbedire a ciò che la coscienza indica, è più giusto che obbedire al partito.
Un cuore umano che ritrova se stesso ha un sussulto inconfondibile. Come si vede ancora ne “Il commissario”, Stràziami si commuove per il fatto che suo figlio può finalmente avere qualcosa da mangiare: «Ora il bambino di Stràziami, seduto alla tavola di cucina, stava contemplando con gli occhi sbarrati suo padre che, cupo e accigliato, apriva con un coltello la scatola di marmellata. “Dopo” disse la madre. “Prima la pastasciutta, poi il latte condensato con la polenta e poi la marmellata”. La donna portò in tavola la zuppiera e cominciò a rimestare la pasta fumante. Stràziami andò a sedersi vicino al muro, tra la credenza e il camino e stette a rimirarsi come uno spettacolo il ragazzo che, con i grandi occhi, ora seguiva le mani della madre, ora guardava la scatola della marmellata, ora la scatola del latte condensato, come sperduto in mezzo a tutta quella allegria».
E così, da un cuore cambiato perché ha ritrovato se stesso, nasce, quasi spontaneamente, un impeto di amore puro, un gesto concreto, grande o piccolo non importa, fatto per contribuire al bene dell’altro. Come è diverso dal doverismo distratto! Non c’è amore vero senza l’impeto a donare sé, commossi, all’altro, come si vede in un altro racconto, “Il voto”. Il figlio di Peppone è malato in modo serio e il padre lo porta segretamente in pellegrinaggio alla Madonna dei Prati. Don Camillo, colpito dal suo bisogno, non vuole lasciarlo solo in un momento così difficile, e così, commosso dal dramma dell’amico, lo accompagna: «Don Camillo scosse il capo: “Quo vadis, Peppone?”. “Quo vadis dove voglio io e ‘quo vienis’ un accidente a voi e a tutti i clericali dell’universo!” ruggì Peppone. “Vado in un posto dove devo andare!”. “Sta bene: e non ci puoi andare per la strada?”. “No! No! Devo andarci per i campi. Per la strada non posso andarci. Io posso umiliarmi davanti al Padreterno ma non davanti ai preti e ai loro complici!”. Don Camillo guardò la faccia sconvolta di Peppone. “Non parlo più”, borbottò. “Andiamo”. “Il bambino lo devo portare io”. “Non occorre; piglia su in spalla quel ciocco: è più pesante del bambino e, anche se caschi, non si fa male. Io ho gli stivaloni e il bambino è al sicuro”. Dovettero contarne quindici di chilometri, prima di arrivare».
Il cuore dell’uomo che ritrova se stesso e impara ad amare ha bisogno di una fonte che non si esaurisce per continuare il suo percorso, ha bisogno di essere oggetto di un amore infinito e senza condizioni, l’amore di un Dio che si fa uomo ed entra nella nostra umanità, “contagiandoci” l’uno con l’altro. Quello che riscoprono Peppone e don Camillo al termine dell’episodio citato: «Peppone entrò col suo bambino in groppa. La chiesa era fredda e semibuia e non c’era anima viva. Soltanto la Madonna dei Campi c’era, di vivo, e i suoi occhi guardavano dolci dall’alto dell’altare. Don Camillo rimase a far la guardia fuori dalla porta. Poi, per star più comodo, si inginocchiò su un sasso e disse alla Madonna dei Campi le cose che Peppone non avrebbe saputo dirle».
Le cose che hanno a che fare con l’unica vera bontà.