Al primo uomo, appena uscito dalle sue mani, Dio affidò il compito di dare un nome a tutte le cose. Così, in quel primo mattino della creazione, fece di lui il suo collaboratore e co-creatore, insegnandogli a guardare ogni creatura con i suoi stessi occhi di misericordia, capaci di penetrare la verità delle cose. Per questo i santi — come ci insegna la storia — sono spesso in grado di ammansire le bestie feroci, oppure di predicare agli uccelli e ai pesci.

Domenica scorsa alla “Biblioteca dello spirito” di Mosca si è svolta una serata dedicata a padre Romano Scalfi, che di questo Centro — insieme a don Giussani — è stato l’ideatore e continua a essere un cuore pulsante. Tra i tanti ricordi legati alla sua vita e alla sua persona, riporto quello di un’amica che padre Scalfi aveva messo in contatto con il monastero delle carmelitane di Venezia. “Arrivata in monastero, e sentendomi avvolta da un affetto per me allora incredibile, chiesi alle suore: “Ma perché?! Perché mi trattate così? Io non ho fatto niente per meritarmelo…”. La loro risposta avrebbe segnato per sempre la mia vita: “Insieme a te, è arrivato qui da noi Cristo!”. Così, per la prima volta sono venuta a sapere che al mondo esistono organi della vista attraverso cui in me (in me!!!) è possibile vedere Cristo. Non quello che vedo io guardandomi allo specchio, non quello che vedono tutti — ma Cristo… E ora ho capito che padre Romano vedeva la mia infelice patria proprio con questi occhi”.

In questo stesso sguardo — lo sguardo del bambino, la verginità del cuore — si cela il segreto del fascino della pittura di Elena Cerkasova. Nella sua prima personale italiana (esposta ai primi di febbraio a Verona e ora ospitata dal 18 al 26 febbraio a Seregno, nella Galleria Ezio Mariani), a tema è l’uomo contemporaneo, con le sue ferite, le sue paure, i suoi travagli; con la differenza, rispetto alla maggior parte degli artisti della sua generazione, che il dramma di ciascuno si svolge e si risolve dentro il rapporto con una Presenza a cui dal profondo può fare appello. 

Ciò che caratterizza i quadri della Cerkasova sono gli occhi dei personaggi — uomini e animali — occhi grandi, spalancati, interrogativi, carichi di attesa: in una delle sue tele più efficaci, “Il ritorno della colomba”, Noè e i suoi familiari insieme a tutti gli animali rinchiusi nell’arca formano un vero e proprio tappeto di occhi, di sguardi, fisso sul lembo di cielo in alto in cui appare il segno della speranza, la colomba messaggera del perdono di Dio.  

Della tenerezza, dello struggimento espresso nello sguardo posato da Cristo su Zaccheo e sulla peccatrice — personaggi ricorrenti nelle tele di Elena Cerkasova — è intessuta tutta la sua pittura. Ma non è solo la storia biblica il luogo dov’è possibile incontrarsi con il divino; gli stessi occhi li ritroviamo nel travagliato XX secolo, in un dipinto in cui la Cerkasova narra la storia di madre Marija Skobcova, una rivoluzionaria russa successivamente emigrata in Francia, fattasi suora e morta martire a Ravensbruck: nella Parigi occupata dai francesi madre Marija accoglie e rifocilla ogni sorta di derelitti in un ospizio messo su grazie alla provvidenza, e a capo della mensa a cui essi siedono, campeggia Cristo stesso.

C’è una seconda caratteristica dello sguardo dei santi (lo “sguardo del cuore”, così gli organizzatori hanno voluto intitolare la mostra della Cerkasova): tutto il mondo si fa “segno”, “parola” del suo Creatore. 

Non è un caso che, nella pittura dell’artista russa, le lettere che compongono lunghe scritte in slavo ecclesiastico e russo (versetti di salmi, brani evangelici, detti di monaci ed eremiti, ecc.), diventino parte integrante della composizione, trasformandosi di volta in volte in ornamenti delle vesti, in cornice, struttura architettonica e così via: è il paradosso di una realtà “parlante”, a fronte di volti in cui è curiosamente assente la bocca. 

Proprio per questo, c’è chi avvicina le sue opere all’icona; in realtà, è vero solo in parte — si avvertono anche reminiscenze di Chagall, Rousseau, dell’avanguardia russa degli inizi del XX secolo (ci ho trovato anche una formella romanica della facciata di San Zeno a Verona). Tutti elementi che concorrono tuttavia a creare un linguaggio originale, dettato da una ricerca personale inesauribile all’interno della vita ecclesiale a cui la Cerkasova partecipa intensamente da ormai vent’anni: l’occhio del cuore diviene sempre più limpido, e così ogni quadro può diventare una testimonianza, una meditazione, un inno di gioia per la misericordia che Dio non si stanca di riversare sul mondo.