In questa stagione in Siberia fa davvero freddo. Nel piccolo villaggio di Sosnovka nella regione di Omsk si arriva anche a punte di trenta gradi sotto lo zero. Così freddo che la popolazione per tutto il lungo inverno non si muove dalle case e dal paese. I fedeli della comunità ortodossa di Sosnovka non riescono neanche ad andare fino alla città di Azov, dove c’è l’unica chiesa della zona.
Uno di loro però, Alexander Bityokhina, viveva con disagio il fatto di non avere un luogo dove potersi trovare a pregare con altri fedeli. “Voleva solo poter pregare in una chiesa” racconta la madre Tatyana, “siamo poveri e fa freddo, ma la voce dentro al suo cuore non smetteva di farsi sentire. Ecco perché ha deciso di costruire una chiesa. Ci ha pensato su parecchio, poi l’ha fatto”.
Con cosa si costruisce una chiesa in un territorio fatto solo di neve e ghiaccio? Con la materia prima più a portata di mano ovviamente: la neve. Per quasi due mesi, Alexander si è messo a lavorare anche a venti gradi sotto zero, senza sosta, usando dodici metri cubi di neve ghiacciata. A chi gli ha chiesto come ha fatto, ha risposto: “La cosa principale è pregare e poi darsi da fare in fretta”.
La parte più difficile è stata piazzare la croce in cima e costruire un altare, ha spiegato. Alla fine è venuta fuori una piccola tipica chiesetta russa. Dentro l’ha decorata con icone, immagini della Madonna e di Gesù, ci ha messo una Bibbia e un piccolo altare. L’ha dedicata alla nascita del Salvatore, poi ha chiamato l’arciprete più vicino e l’ha fatta benedire. Quando arriverà la primavera la chiesetta si scioglierà, così come tutta la neve intorno. Alexander spiega che per allora spera arrivino materiali, mattoni e legno, per costruire una struttura definitiva, altrimenti il prossimo inverno la ricostruirà. La gente del paese è contenta. Adesso hanno un luogo dove ritrovarsi a pregare: “Ha visto che avevamo una necessità e ha deciso di risolverla”. Lo chiamano il buon samaritano di Sosnovka.
A migliaia di chilometri di distanza, dove non fa così freddo, in Italia, i recenti dati Istat dicono che sempre meno persone vanno in chiesa. Quelli che la domenica partecipano alla messa sono stati nell’ultimo anno il 29 per cento della popolazione, con una flessione rispetto al 2006 del 4,4 per cento. Se si risale al 1995, la flessione è del 10,7 per cento. Sono i giovani soprattutto che hanno smesso di andarci: se gli over 65 sono ancora il 40 per cento, i fedeli fra i 18 e i 29 anni sono il 15 per cento. Ma c’è anche un altro dato: se diminuisce il numero di chi va in chiesa, non aumentano gli atei e gli agnostici, fermi da tempo al 7 per cento. Il 72 per cento degli italiani si dichiara credente, di questi l’80 per cento si dice cattolico.
Le gare dei numeri (come fanno alcuni che contano quante persone vanno in piazza San Pietro da quando c’è papa Francesco e quante ce ne andavano quando c’era Benedetto XVI) e le classifiche non sono il punto importante. Sarebbe però interessante capire a fondo quale esperienza fanno gli italiani del loro rapporto con il trascendente; come sta cambiando questo rapporto e perché; e come vivono il credo della tradizione cristiana da cui per lo più provengono.
E ancora, perché si sta perdendo il desiderio di pregare insieme, anche se non è andato perso il senso religioso? Perché si preferisce una religione fai da te a una che propone una sequela di gesti da condividere?
Ma più che ogni altra cosa viene da chiedersi perché colpisce il gesto di Alexander.
Forse perché un atto così apparentemente non necessario, fuori misura, dice che il desiderio del cuore dell’uomo sia incontenibile e vive se gli si dà spazio in gesti concreti, piccoli o grandi che siano.
Alexander senz’altro conosce il valore del sacramento e anche del ritrovarsi a pregare per tutta la tradizione cristiana. Da quanto ha detto si capisce anche che era già abituato a pregare, a vivere quotidianamente il suo rapporto con Dio. Ma è probabile che sentisse che da solo il suo affetto per Gesù andasse smarrito. E magari aveva la stessa preoccupazione per amici e parenti. Oppure era il desiderio di condividere con gli altri una cosa grande e decisiva come la fede a muoverlo.
Quando Gesù tornò al Padre, i suoi discepoli rimasero assieme, non si persero più di vista e tutti i giorni ripetevano, insieme, quel gesto che gli avevano visto fare, offrire il pane e il vino come Suo corpo e Suo sangue. E se la chiesetta la prossima primavera si scioglierà, Alexander ne farà un’altra. Ricominciando sempre daccapo.