La migliore “notizia nella notizia” – riguardo il boom del surplus commerciale italiano a fine 2016 – è probabilmente l’aumento dell’export Made in Italy in Germania: +3,8% su base annua, addirittura +10,3% nel mese di dicembre. Uno scatto di competitività realizzato in condizioni di cambio ultra-fisso (la moneta unica), quindi tutto reale. Se ora il trend dovesse essere confermato all’inizio del 2017 l’Italia si sarebbe guadagnata una posizione di maggior forza relativa al tavolo della ricostruzione della Ue che il cancelliere tedesco Angela Merkel vuole aprire tra un mese a Roma e far funzionare dopo le tornate elettorali in Francia e Germania (e forse Italia). Berlino sarebbe davvero interessata a mettere in discussione l’appartenenza di questa Italia all’euro-1?
Un avanzo commerciale record come quello registrato dall’Italia a fine 2016 (51,5 miliardi, quasi 10 miliardi in più rispetto al 2015) non è di per sé una “buona notizia”: continua anzi a essere in parte l’effetto della debolezza della domanda interna di beni di consumo e d’investimento. E anche il “record sul record” – 78 miliiardi di saldo attivo al netto dell’import energetico – va pesato con il basso costo corrente del petrolio e delle altre risorse energetiche.
Il segnale statistico diventa invece importante quando risulta determinato da un record delle esportazioni (417 miliardi, +1,1%) e quando questo traguardo viene tagliato al termine di un anno che la stessa World Trade Organization ha già giudicato non positivo a livello globale (a settembre il ritmo stimato di crescita del commercio mondiale è stato abbassato a +1,7%). E’ significativo perché a porre l’accento sulla performance annuale è stato il dato export di dicembre: un +5,7% (+7,4% nell’area Ue) che ha bissato quello di novembre ma con meno giornate lavorative. E non di minore rilevanza – anzi – è l’accelerazione gemella di export e produzione industriale (+6,6% in dicembre).
La ripresa sta arrivando? O quanto meno l’export continua a funzionare da “salva-Italia”? L’Azienda-Italia è a mala pena fuori da una grave recessione da austerity, è tuttora premuta dalla Ue sul versante fiscale, è alle prese con una seria crisi bancaria. E nel 2016 ha dovuto fronteggiare specifiche difficoltà: le sanzioni russe (-26%, alcuni miliardi mancanti all’appello). Eppure l’Azienda-Paese ha tenuto il ritmo di crescita dell’export della stessa Germania e ha fatto meglio della Francia. Lo ha fatto nella Ue lo ha fatto fuori Ue: +9% in Giappone, +6,4% in Cina. Lo ha fatto in segmenti diversi del Made in Italy con punte nell’agroalimentare alla filiera del metallo (dai beni strumentali fino all’automotive), dalla farmaceutica alla gomma-plastica. E anche questa è in fondo una buona notizia: è tutto il motore industriale del Paese che mostra segno di tenuta, di ulteriore risveglio. Che l’Italia abbia l’export nel suo dna è noto da decenni. Ma la sua tenace resilienza da export alla micidiale doppia w del Pil seguita al collasso dei mercati finanziari continui e’ il contrario di tante “post-verità”. L’anno apparentemente più difficile da affrontare – per l’Italia nell’Europa – potrebbe rivelarsi alla fine molto meno deludente di altri dopo il 2008.