È passato un anno dall’incontro di Cuba tra il patriarca Kirill e papa Francesco e molti se lo ricordano quasi solo per dire che non è cambiato nulla. Particolarmente dolente è stata nei giorni scorsi questa constatazione in Russia, dove l’incontro aveva acceso, per un verso, molte speranze e, per un altro, molte obiezioni, non solo tra i rappresentanti degli ambienti ultra-conservatori e tradizionalmente anti-ecumenici (che lo hanno considerato l’incontro con un eretico) o tra chi vi aveva visto esclusivamente un evento politico, ma anche tra chi, pur avendo uno sguardo di autentica simpatia per i cattolici, si era lamentato di un certo modo, un po’ dirigistico e poco condiviso (papista e burocratico, è stato detto), con cui si era arrivati all’incontro stesso.

Molto si potrebbe rispondere a questa insoddisfazione, che oltre tutto spesso non nasce da malanimo ma, anzi, dal desiderio di cuori ardenti che non possono pacificarsi con la divisione; e proprio per questo ardore le obiezioni e l’impazienza, di fronte a un effetto che è stato giudicato sin troppo “effimero”, non meritano una risposta sbrigativa, magari anche tranquillizzante ma un po’ astratta.

Mentre riflettevo sulla questione, ho avuto la fortuna di tornare a visitare Vladimir (circa duecento chilometri a nordest di Mosca) e le città che la circondano: Suzdal’, Bogoljubovo, Jur’ev-Pol’skij, nel giro di pochissimi chilometri un concentrato incredibile di chiese, tutte stupende, molte risalenti al XII secolo e frutto del lavoro e della genialità di maestranze italiane: italiani (cattolici, si presume) nella Russia (ortodossa, si presume) di oltre un secolo dopo lo scisma! La divisione c’era già e già stava scavando i suoi solchi, ma evidentemente non aveva ancora lasciato segni visibili, anzi, era come se la gente non se ne fosse accorta, così che poteva ancora edificare insieme e gustare insieme una bellezza comune, che oggi continua ad arrivare sino a noi senza magari che ci rendiamo conto della sua origine, e senza che neppure sospettiamo quanto sarebbe importante ricordarci di questa origine, quanto sarebbe utile questo ricordo (una volta fatto proprio) per superare tante divisioni. 

E forse allora tutto dipende dal saper vedere, perché forse adesso potrebbe essere in atto il processo contrario e l’unità potrebbe aver di nuovo ripreso a farsi strada attraverso tutte le nostre divisioni senza che noi neppure ce ne accorgiamo. Allo stesso modo, in fondo, molti di noi sembrano non accorgersi più di Cuba e averla dimenticata come un dono “casuale”.

Mentre mi dicevo queste cose arriva la sorpresa della realtà, che è sempre più ricca delle nostre attese. La grande poetessa russa (ortodossa) Ol’ga Sedakova pubblica sulla sua pagina FB un sunto dell’intervento di papa Francesco a Roma Tre: non del discorso preparato e consegnato al Rettore, ma di quello improvvisato, senza testo; e ci vuole proprio un gusto particolare per l’unità, un sovrappiù di desiderio per sobbarcarsi la fatica di tradurre un discorso senza testo.

E qui succede l’inatteso: la pagina si riempie di like e di commenti positivi; e poi a valanga le condivisioni; e tutti ringraziano e sottolineano che il discorso è una boccata d’aria, che quella cosa che aveva suscitato reazioni così inaspettate diceva le parole più attese da tutti, credenti e non credenti; ormai il problema non è neanche più l’unità tra cattolici e ortodossi, ma l’unità di tutti gli uomini.

E l’unità in effetti ci sorprende tutti, in mezzo alle dimenticanze e alle divisioni, e lascia le sue tracce per chi le sa vedere, per chi le cerca. Non è forse un caso che tra un passo tradotto e un altro riassunto leggiamo queste parole a proposito dell’epoca che stiamo vivendo e dei cambiamenti radicali che vi si verificano: “Il papa ha detto che bisogna cominciare col vedere la realtà della nuova epoca e vederla quale essa effettivamente è, prima di giudicarla. Se manca il riconoscimento della realtà di questi cambiamenti, ogni ulteriore riflessione è impossibile. ‘La vita somiglia un po’ al portiere della squadra, che prende il pallone da dove lo buttano’. Ma per prendere il pallone bisogna prima vedere che arriva. Bisogna accettare il nuovo e l’inatteso senza paura: come un compito, come una sfida creativa”.

Se l’incontro di Cuba resterà o meno come un incontro effimero e casuale, in fondo dipende solo dalla nostra capacità di accettare questa sfida senza paura, ma anche senza forzature e senza pretese, come una sfida alla nostra libertà e alla nostra umanità, pure e semplici, senza aggettivi.

“Ancora un’osservazione generale — concludeva (anche qui forse non a caso) il post di Ol’ga Sedakova — nei quaranta minuti del suo discorso il papa non ha mai usato, neppure una volta, parole “religiose” o “morali”. Perché in effetti l’uso di tali parole sarebbe a sua volta una violenza”.

Il problema della realtà, come quello della verità, è sempre un problema di libertà.