La “doppia faccia” dei desideri

In Spagna cresce il dibattito sulla maternità surrogata. Anche se è difficile riuscire a far capire fino a dove il desiderio di paternità può spingersi, spiega FERNANDO DE HARO

Forse sono facce della stessa medaglia. Da una parte il desiderio di sicurezza, l’insicurezza della propria identità perduta che si trasforma in rifiuto degli immigrati, degli stranieri, con il sogno e la violenza dei muri. Dall’altra il desiderio di paternità, l’insicurezza di un’identità che, senza figli, si considera infeconda, con il sogno e la violenza di un mercato in cui si possano comprare e affittare uteri per una maternità altrimenti impossibile.

Il congresso del Partido popular che si terrà il prossimo fine settimana a Madrid ha fatto scoppiare la polemica su quella che eufemisticamente viene chiamata “maternità surrogata”. In Spagna è proibita. Ma un figlio nato all’estero, con questo tipo di sistema, può essere iscritto all’anagrafe come figlio dei “contraenti”. Questo ha provocato il fenomeno crescente del turismo riproduttivo. I dirigenti del Pp hanno deciso di far entrare questo tema nell’agenda del Congresso del partito che ora si trova al Governo. Di fatto nei documenti sociali dell’esecutivo il tema non c’è, ma il dibattito è molto forte. Alberto Nuñez Feijoo, probabile successore di Mariano Rajoy, sembra disposto a regolare la materia degli uteri in affitto. Una minoranza del partito chiede un dibattito aperto e non vuole che venga diffuso un messaggio di approvazione. I leader pro-life si sono mobilitati, anche se nella Spagna del 2017, paradiso dei nuovi diritti, nulla è come prima. Uno degli esponenti di questo movimento chiedeva in questi giorni: “Come possiamo spiegare a qualcuno che vuole avere dei figli e non può che il suo desiderio non può calpestare la dignità di una madre?”. Non è facile. La domanda è importante, ma molte ragioni per rispondere sono diventate superate.

Dal mondo del femminismo c’è stato un tentativo di risposta. Un gruppo di donne, tra cui grandi nomi della sinistra (Amparo Rubiales) o pensatori di primo piano (Amelia Valcárcel), unite tradizionalmente da quello che viene chiamato “ampliamento dei diritti sessuali e riproduttivi”, ha avviato la piattaforma www.nosomosvasijas.eu. Il tema è molto significativo: “Le donne non si possono affittare o comprare”. È interessante questa rivendicazione della “intangibilità” della maternità. Nel manifesto della piattaforma ci sono contributi suggestivi.

Le femministe che non vogliono essere dei contenitori, assicurano che “affittare l’utero di una donna non può essere classificato come una tecnica di riproduzione assistita”. Non accettano “la logica neoliberista” che vuole introdurre questa pratica nel mercato, “perché si serve della disuguaglianza strutturale delle donne”. In realtà, dicono, siamo di fronte a “un fatto sociale che rende il corpo delle donne un oggetto e mercifica l’essere padri-madri”. Molto provocatoria la denuncia contro la strumentalizzazione del desiderio da parte del mercato e la riduzione della persona a cosa. La loro conclusione è l’irriducibilità della persona, di quella dimensione della persona che è il corpo. “Il diritto all’integrità non può essere soggetto ad alcun tipo di contratto”. In realtà, ciò che dice questo tipo di femminismo è tipico della tradizione europea, l’essenza dell’illuminismo.

Alicia Miyares, una delle promotrici della piattaforma e nota femminista, ha recentemente dichiarato in un’intervista: “Il problema è far vedere che il desiderio ha come limite il diritto oggettivo delle altre persone”. In un certo senso siamo davanti alla fine della parabola che ha avuto inizio nel 1973 con la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Rose contro Wade. Quella sentenza ha ammesso il diritto di interrompere la gravidanza come parte della privacy, del diritto all’autonomia personale.

Il miglior femminismo rivendica i limiti del desiderio di autodeterminazione nell’oggettività dei diritti degli altri. Il problema sembra quindi risolto. Ma in realtà qui arriva il dramma, perché ciò che manca è proprio l’evidenza che le femministe e i pro-life rivendicano. Il dibattito documenta fino a che punto l’illuminismo è giunto al capolinea. L’oggettività del diritto degli altri non si percepisce, ha smesso di essere un terreno di certezza, è nascosta nella nebbia del cambiamento epocale. Senza un po’ di evidenze basiche, non tanto sull’origine del valore della persone, ma sulle conseguenze, è difficile promulgare leggi.

È impossibile risolvere la polemica ripetendo l’importanza di un valore che non è percepito come tale e di cui non si ha esperienza. La partita non si gioca sul terreno dei valori, ma su quello del desiderio. È necessario fare i conti con il desiderio “irrefrenabile” di paternità. Il desiderio per sua natura – se possiamo continuare a usare questo termine – è strutturalmente infermabile, non si può bloccare. La maternità, la paternità o la sicurezza sono nomi del desiderio di non essere contingente, innecessario. Senza un percorso che può svelare tutta la sua profondità, ogni cosa minimamente etica risulta sconfitta.

Uno dei più acuti profeti del nostro tempo, David Foster Wallace, lo segnala acutamente in uno dei suoi racconti apparentemente insignificanti: Una cosa divertente che non farò mai più. Si tratta di una cronaca in cui Wallace ha descritto una crociera di lusso. “Non il lavoro duro, ma il divertimento duro, le attività costanti del 7NC (il nome della crociera), le feste, le celebrazioni, la gioia, i canti, l’adrenalina, l’eccitazione, lo stimolo, fanno sentire vibrante, vivo. Fanno sì che l’esistenza non sembri contingente”. Senza sentirci vivi, in qualche modo necessari, non c’è cammino. Cercheremo crociere sempre meno tranquille.

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